venerdì 30 marzo 2007

IL PAPA VA ALL’INFERNO

Dopo aver alzato la voce contro questa Europa che, non menzionando le sue radici cristiane, nega se stessa e rischia il congedo dalla storia, papa Ratzinger parla a valanga.

E viene spontaneo domandarci se non sia proprio lui a congedarsi dal mondo reale per rinchiudersi in un passato che non esiste più.

Anziché porre alla chiesa il problema di come predicare e vivere il vangelo nel mondo contemporaneo, prosegue le sue prediche nostalgiche piene di risentimento e di angoscia.

Va detto, in verità, che Ratzinger ripete queste sue idee da almeno 40 anni, ma ora la vecchiaia ha reso il suo pensiero più cupo ed oppressivo.

Così, anziché condannare il dominio del denaro e dire per nome e per cognome che sono i “signori del mondo” che vogliono le guerre, si scaglia ad ogni piè sospinto contro la modernità, che non coincide affatto con il capitalismo.

Ma, in questi ultimi giorni, ossessionato dall’omosessualità, vede il diavolo da ogni parte e domenica 25 marzo, tanto per iniziare bene la primavera, ha sollevato i cuori parlando di Satana e dell’inferno “che esiste ed è eterno”.

Dunque questo papa ci parla dell’inferno come uno che reduce da un viaggio, sa chi ci va, conosce quali sono le pene e quanto durano.

Forse al papa bisognerebbe fare leggere qualche buon libro di aggiornamento biblico e teologico.

Forse l’unico inferno è quello in cui vivono tante creature per la guerra, la miseria e la violenza.

L’altro? L’amore di Dio non l’ha mai pensato e anche le immagine scritturali dell’inferno possono essere il segno delle nostre culture, mai capaci di esprimere adeguatamente l’accoglienza amorosa di Dio, la cui giustizia non è mai vendicativa e non ha mai bisogno di esigere espiazioni.

Ratzinger, con le sue fobie e i sui appelli angoscianti, in fondo mi fa tenerezza.

E’ il segno vivente di una chiesa che parla e straparla, che urla e maledice, ma che è completamente afona, incapace di annunciare la bella-gioiosa notizia di cui c’è tanto bisogno.

UNA BARZELLETTA DI "REPUBBLICA"

Lunedì 26 marzo a pagine 13 del quotidiano "Repubblica", per avvalorare la continuità del pensiero diabolico, l’Autore ha ingenuamente costruito una colonna su “le parole dei pontefici”.

Al primo posto - davvero i giornalisti quando fanno teologia spesso fanno umorismo – ha citato”San Pietro” come primo pontefice…

Ve lo immaginate quel pescatore di Galilea, la cui suocera aveva la febbre, nei panni di un pontefice dei sacri palazzi?

Ma l’Autore della “colonna” compie un altro scivolone. Cita un brano della 1° lettera di Pietro pensando che essa risalga a “San Pietro”… mentre lo scritto è oggi riconosciuto come di altro autore e di altro periodo…

Siamo talmente presi e immersi nella “cultura cattolico-papalina” che non verifichiamo più i nostri luoghi comuni. Capita anche ai migliori giornalisti…

mercoledì 28 marzo 2007

RISORSE PER IL DIBATTITO

JAMES ALISON, Fede oltre il risentimento, Transeuropa Libri, Ancona 2007, pagg. 226, € 12,90.

Ancora una volta presento un libro. Si tratta, a mio avviso, di un libro avvincente e paradossale che ho letto con interesse, coinvolgimento e frutto.

Da una parte l’Autore si presenta a più riprese come un teologo cattolico doc, in armonia con la “coscienza cattolica”, dall’altra è molto lucido nell’affermare la piena legittimità evangelica dell’esperienza omosessuale.

Assolutamente tradizionale per ciò che riguarda la cristologia e la dogmatica, il nostro Autore proclama la totale autonomia della coscienza cristiana omosessuale dall’insegnamento del magistero.

La lettura evidenzia una ricorrente contraddizione. Se, infatti, si dice che “è importante non attaccare la Chiesa” (pag. 11), l’Autore fa esattamente l’opposto in moltissime pagine e si confronta coraggiosamente con l’insegnamento delle gerarchie vaticane alle quali nega il suo assenso.

La sua è tuttavia una contraddizione che, non priva di ambiguità e di abili “contorsioni” tattiche, invita il lettore e la lettrice a non cadere nella trappola della rabbia e della contrapposizione istituzionale, anche perché i veri progressi nella liberazione avvengono per lo più fuori dai recinti ecclesiastici.

L’Autore dedica pagine davvero preziose alla costruzione di una coscienza che non dipenda da nessuna “agenzia” esterna, compresa quella ecclesiastica. Rompere le catene della dipendenza, liberarsi dal bisogno di essere riconosciuti, approvati e benedetti rappresenta il passo decisivo verso una fede adulta.

Alison propugna una sana “indifferenza” rispetto agli apparati istituzionali e burocratici della chiesa senza spirito di superiorità, di disprezzo o di rottura. L’autorità vera sta nel Vangelo che ci libera dal fascino e dalle catene dell’apparato sacro.

Molte coscienze omosessuali sono ancora legate da sottili catene di dipendenza. La gerarchia ha fatto respirare per anni non ossigeno, ma gas nocivo e corrosivo. Essa ha catechizzato con una infinità di menzogne.

“Naturalmente, quel che è grave rispetto a quelle menzogne non è solo il fatto che ci vengono dette, ma che noi ci crediamo e le ripetiamo a noi stessi” (pag. 80).

E’ la pesantezza della omofobia interiorizzata che paralizza tante esistenze, ma è possibile un cammino che sveli l’inganno e ricollochi la vita sotto il sorriso di Dio: “Di tutte le menzogne, nessuna è più terribile e devastante per il nostro essere di quella secondo la quale noi non siamo in grado di amare. Quella che afferma che il nostro amore è malato, perverso e può solo portare danno e degrado a coloro verso i quali vorremmo aprirci” (pag. 80).

Il teologo Alison, che invita ripetutamente omosessuali e lesbiche a non abbandonare la loro appartenenza ecclesiale, ammette però che sono possibili altri esiti per chi ha riscoperto di piacere a Dio e di dispiacere alla propria chiesa ufficiale: “Molto probabilmente scopriremo che le parole che ci permettono di rilassarci nell’essere amati potranno benissimo anche renderci impossibile continuare a vivere all’interno di una struttura che considera il nostro amore solo finzione” (pag. 99).

Nel volume sono veramente originali i tratti in cui l’Autore parla di sé come gay, come sacerdote e come teologo, con una dichiarata “vocazione pastorale” per il bene dei fratelli e delle sorelle omosessuali.

Emerge una personalità che ha imparato ad affrontare i conflitti senza rabbia: “Il risentimento è una modalità del desiderio per cui il risentito si trova a preoccuparsi molto di più dell’ostacolo al suo progetto che del progetto stesso” (pag. 152).

Il libro si presenta anche come un audace tentativo di parlare a voce alta in una comunità che non accetta i gay e le lesbiche come interlocutori: “So benissimo che il mio tentativo di parlare all’interno della chiesa non è che il tentativo di un conducente ubriaco di dimostrare alla polizia che è capace di camminare in linea retta…. Vorrei chiedere insomma di non essere considerato un nemico della fede o un infiltrato che vuole minare le fondamenta della chiesa con l’introduzione di assurde eresie” (pag. 182).

E il coraggio, in verità, non manca al nostro Autore quando denuncia l’opera inaffidabile di quei gruppi che “con fondi sostanziosi e molta pubblicità” (pag. 187) mettono in atto la “terapia riparativa” (o “ricostruttiva” o “di conversione”), incoraggiata dalla chiesa gerarchica e da altri settori fondamentalisti delle chiese cristiane.

Questi gruppi, partendo dal presupposto-pregiudizio che tutti gli esseri umani sono intrinsecamente eterosessuali, deducono che il soggetto con inclinazioni verso persone dello stesso sesso è un eterosessuale difettoso o malato. L’omosessuale deve impegnarsi in un’opera costante di bonifica di se stesso, deve condurre un’opera di sterilizzazione, di anestesia e di desensibilizzazione.

In questo percorso di feroce automutilazione pervasiva, l’obiettivo da perseguire è la pantomima dell’eterosessualità. Curare in assenza di malattia è ciò che i “terapeuti riparativi” fanno. “In realtà questo, a ben vedere, è un delitto contro l’integrità della persona umana” (Paolo Rigliano).

Ma, pagina dopo pagina, il libro riserva piacevoli sorprese, nel suo simpatico andirivieni tra “tradizione” e “risoluzione”. Profumano di freschezza alcune interpretazioni bibliche e alcune “lettere agli amici” qui riportate.

Così pure l’Autore qua e là si dirige in modo esplicito ai sacerdoti e ai religiosi omosessuali perché diventino consapevoli di dover svolgere un ministero di apertura profetica, di svolta evangelica verso tempi nuovi per la comunità ecclesiale. Tanto più che “nel clero tradizionalmente si trova una percentuale di uomini di inclinazione omosessuale molto più alta che nella popolazione generale” (pag. 195).

Le ultime pagine affondano, come si suol dire, il coltello nella piaga: “Perfettamente in linea con la loro logica, gli ufficiali del Vaticano non trattano noi lesbiche e gay come soggetti a cui si può rivolgere la parola, capaci di espressione linguistica ragionata. Nei documenti vaticani siamo solo un “loro”, oggetti a cui ci si riferisce. Non si tratta solo di mancanza estetica. Nella concezione ufficiale, le persone come noi, parlando in senso stretto, non sono soggetti ragionevoli che possono avere qualcosa da dire su un argomento che li riguarda…. L’unica persona “omosessuale” che possa fungere da soggetto è quella che accetta che la sua inclinazione venga definita come una tendenza verso atti intrinsecamente cattivi dal punto di vista morale, tendenza da considerarsi quindi oggettivamente disordinata” (pag. 205).

Sono sicuro che un libro come questo comunica un soffio di speranza e di coraggio a molte persone. Rappresenta qualcosa di più di un nuovo contributo al dibattito. Ma nei sacri palazzi c’è ancora qualcuno che sa ascoltare?

lunedì 26 marzo 2007

DOCUMENTARSI FA BENE

Riporto da Liberazione del 9 marzo uno scritto di Piero Sansonetti:

“E’ in atto, in Italia, una vera e propria persecuzione contro gli omosessuali. E’ guidata in modo preordinato e rigoroso da un élite politica, la quale lavora agli ordini della Chiesa cattolica. Ed è tollerata, colpevolmente, da una parte larghissima del mondo politico, anche laico.

E’ inutile negare l’evidenza: la Chiesa ha deciso che sarebbe insopportabile qualunque attenuazione delle attuali discriminazioni contro gay, lesbiche, trans, e per evitare questo rischio ha lanciato una crociata, che è basata su nessun principio ma semplicemente sull’arroganza del potere.

Non esiste nessun principio - compatibile con la civiltà umana, col cristianesimo e con nostro patrimonio culturale - che stabilisca l’esistenza di una categoria di persone (quelle che amano individui del proprio stesso sesso) meritevoli di godere meno diritti rispetto ai loro simili.

Questo principio - assolutamente razzista - è stato cancellato dalla dichiarazione dei diritti universali dell’uomo del 10 dicembre 1948. L’ultima volta che uno Stato proclamò un principio simile (il Sudafrica dell’apartheid) subì il boicottaggio dell’occidente”.

Voglio inoltre segnalare la pagine che Delia Vaccarello cura su L’Unità il martedì. Si tratta di uno “spazio” che non solo denuncia le violazioni dei diritti ed elenca le iniziative di lotta, ma segnala anche i risultati positivi, le conquiste, i passi in avanti che avvengono nella società e nelle chiese.

Infatti è importante tenere in conto che ci sono i Ratzinger e i Bagnasco ma esistono milioni di gay e lesbiche la cui vita è un poema d’amore.

Se qualcuno legge Riforma, il settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi italiane, non dimentichi di riflettere sull’articolo di Giusepe Platone, pastore della comunità di Torino (16 marzo 2007), sulla lettera di Rosa e Cinzia della comunità di Milano (stessa data) e su “alcune considerazioni sui DICO” a firma di Alberto Barbero (che è anche mio fratello) in data 9 marzo.

sabato 24 marzo 2007

«I cattolici? Non sono uniti contro i Dico. La Cei sbaglia»

Intervista a Don Franco Barbero, fondatore della comunità di base di Pinerolo: «La Chiesa ha perso il monopolio sull’amore. E nessuno vuole lottare “contro” la famiglia»
«I cattolici? Non sono uniti contro i Dico. La Cei sbaglia»

da: Liberazione, 21 marzo 2007
di Castalda Musacchio

Non c’è nessuna “piena unità” dei cattolici, come dice la Cei, contro i Dico. La Chiesa ha perso il monopolio sull’amore. Nessuno di noi ha mai pensato di lottare “contro” la famiglia, se mai ha pensato di lasciare libertà ad ognuno e ad ognuna di amare in tanti modi, secondo la propria natura». Don Franco Barbero è davvero una voce fuori campo. Un sacerdote che rompe gli schemi. E la sua storia lo conferma. Fondatore della comunità cristiana di base di Pinerolo (To) da oltre 40 anni si occupa di ricerca biblica e teologica. Tra le tante, sono note le sue prese di posizione a sostegno di gay e lesbiche per vivere liberamente la loro condizione. E oggi torna a dire: «Cosa penso dei Dico? Un compromesso accettabile, anche se personalmente sono a favore di un vero e proprio matrimonio per le coppie omosessuali».

Fervono i preparativi per il “Family Day”, la manifestazione a favore della famiglia in programma il 12 maggio. Per l’agenzia Sir della Cei si tratta «di un’iniziativa che testimonia la piena unità del mondo cattolico in difesa della famiglia fondata sul matrimonio».

Ma nessuna unità, per cortesia... Non c’è nessuna “piena unità” tra i cattolici contro i Dico come sostiene la Cei. Dalle migliaia di testimonianze di tanti semplici fedeli a tanti piccoli preti e sacerdoti e suore e cittadini cattolici, proprio questo mondo fortunatamente assai eterogeneo non è assolutamente “unito” su questa questione. E fortunatamente è ben più aperto di quanto vogliano far intendere le gerarchie ecclesiali. Ma le menzogne delle gerarchie purtroppo sono tante. C’è qualcosa che davvero mi sorprende...

Cosa?

Quello che mi sembra davvero strano, ormai un vero paradosso, è quanto proprio le gerarchie ecclesiali non percepiscano quanto siano tristi direi, il loro è davvero un umorismo triste. Nessuno di noi ha mai pensato di lottare “contro” la famiglia, se mai ha pensato di lasciare libertà ad ognuno e ad ognuna di amare in tanti modi, secondo la propria natura. Anzi, se mai si è voluta estendere la famiglia e i diritti connessi alle persone che vivono questa realtà. Tutto questo grande fervore contro i Dico corrisponde davvero all’accensione di roghi.

Eppure, per la Cei,«è il principio di uguaglianza ad impedire il riconoscimento delle unioni omosessuali: non è possibile invocare garanzie uguali per situazioni differenti».

Omosessuali e lesbiche e trans non sono un problema. Portano un amore fresco e voci calorose. Certo che alle gerarchie fa comodo pensare di continuare ad avere il “monopolio sull’amore”, ma ormai questa Chiesa è fredda, è una chiesa “freezer” e, al contrario di quanto pensano in molti, sono proprio gli omosessuali che stanno scaldando il terreno dell’amore. Eppure non se ne accorgono. Perché chi è gelato come un frigo questo amore non lo sente. Vorrei aggiungere che oggi, stranamente, sono proprio le donne lesbiche e gli uomini gay a portare in campo le voci tenere dell’amore che hanno tante risonanze nella voce di Gesù, e la Chiesa questo lo sa.

Don Franco, arriva la promessa della possibile presenza in piazza di un cartello di associazioni omosessuali e delle famiglie di fatto al “family day”.Tra queste dovrebbero esserci l’Arcigay, l’Arcilesbica, le Famiglie arcobaleno (associazione papà e mamme omosessuali, ndr) ma anche la Liff (Lega italiana famiglie di fatto, ndr) e l’Agedo (associazione genitori di omosessuali, ndr)... cosa ne pensa?

Sarebbe bello davvero se accadesse. Certo, la festa della famiglia dovrebbe mobilitarci un po’ tutti se fossimo in prevalenza cristiani e cristiane di buon senso. E se questa manifestazione avesse questa creatività mi impegnerei a partecipare. Andiamo allora, issiamo cartelli, ma temo davvero che sia solo una fantasia... oltretutto occorre necessariamente puntualizzare un fatto.

Prego...

Nei Dico non si parla assolutamente di matrimonio, anche se io personalmente me ne rammarico. I Dico sono un punto di passaggio verso una maggiore pienezza dei diritti. R i p e t o : nessun attacco alla famiglia, solo un riconoscimento di diritti. Quanto all’adozione di figli, certo, la questione è più delicata.

Ecco, a proposito di adozioni per coppie omosessuali, lei cosa ne pensa?

Il problema dell’adozione è l’accudimento. Le analisi che ci provengono dalle prime realtà di adozioni da parte di coppie lesbiche e omosessuali sono estremamente positive, che esse siano etero omo o trans la sostanza del problema non cambia. Il problema per un’adozione resta la capacità di accudire. Certamente una figura femminile o maschile hanno delle loro valenze, nel senso che nella società avvengono delle identificazioni nelle relazioni, ma anche su questo occorrerebbe il coraggio di guardare ciò che oggi è la realtà e ciò che tanto può fare anche la scienza. Mi auguro davvero che anche questa prospettiva in futuro non sia lasciata cadere. Anche se in molti Stati questa possibilità è già una realtà.

Certo, don Franco, a sentire le sue parole, sembra così lontano dai tanti discorsi che si ascoltano,così distante da ciò che la Chiesa di Ratzinger vuole rappresentare...

Non credo di fare un’opera straordinaria. Trovo tutto così umano e così coerente con il Vangelo. E, direi, soprattutto, che ritrovo anche un po’ di gioia nel fatto che si possa discutere di questi temi e che si possa far davvero capire che essere credenti non vuol dire essere reazionari. La fede è libera e occorre liberarsi dalle catene che impone il Vaticano. Noi fedeli stiamo imparando a vivere la nostra fede fuori da queste catene, per cui l’affascinazione del Tempio non mi tocca. Sento che non ho bisogno di nessuna benedizione, il Vangelo è la mia benedizione. E anche di questo papa non sento in verità alcuna mancanza.

giovedì 22 marzo 2007

NON ACCETTARE LA PROVOCAZIONE

Credo che l’acuirsi del dibattito sui DI.CO rappresenti per molti credenti gay e lesbiche un passo verso la loro età adulta anche sul piano della fede.

E’ decisamente importante riuscire a costruire una coscienza liberata, a rompere le catene della prigione ideologica che fa dipendere la legittimità della proprio esperienza cristiana dal riconoscimento degli “ufficiali vaticani”.

Essere se stessi senza chiedere permesso, senza invocare approvazioni o benedizioni significa cambiare la qualità della nostra appartenenza alla chiesa, intesa come insieme dei fratelli e delle sorelle che si mettono in viaggio nella direzione indicataci da Gesù.

Quando avviene questa svolta psicologica e teologica si diventa tranquillamente indifferenti alle “mazzate”, alle condanne vaticane. Non nel senso che si rifiuta il dialogo, ma nel senso che cessa la dipendenza da una istanza burocratica esteriore al cammino di fede e si impara a “lasciarli dire e fare”.

Dare troppa importanza ai pronunciamenti dei gerarchi cattolici genera una reazione che evidenzia una certa dose di dipendenza. Dipendere dall’approvazione delle gerarchie è la vera rovina della chiesa cattolica.

E’ decisivo, invece, sapere che nessun pregiudizio può oscurare il sorriso di Dio sulla propria vita.

Questo “rilassamento” e questa pace ci regalano coraggio e gioia. Personalmente non penso più da moltissimi anni che la mia fede, la mia appartenenza alla chiesa e il mio ministero siano legate ad un riconoscimento ufficiale dei gestori della struttura ecclesiastica.

Mi interessano il vangelo e la liberazione delle persone. Il resto per ciascuno di noi può diventare superfluo. Solo così ha senso parlare di un “dialogo” dignitoso nella società e nella chiesa.

I gay e lesbiche cristiane talvolta cadono in questa provocazione e stentano a costruire un percorso di fede libera ed adulta.

Ha ragione un sacerdote gay: “Un altro punto che vale la pena di esporre è che, perfettamente in linea con la loro logica, gli ufficiale del vaticano non trattano noi lesbiche e gay come soggetti a cui si può rivolgere la parola… Nei documenti siamo solo un “loro”, oggetti a cui ci si riferisce. Non si tratta solo di mancanza di finezza estetica. Nella concezione ufficiale… le persone come noi, parlando in senso stretto, non sono soggetti ragionevoli che possono avere qualcosa che li riguarda” (J. Alison, in Fede oltre il risentimento, Transeuro/a, Ancona 2007, pagg. 205).

L’omosessuale diventa soggetto degno di ascolto, in questa chiesa ufficiale, solo quando va a confessarsi per riconoscere i suoi “atti intrinsecamente cattivi” e la sua “tendenza oggettivamente disordinata”.

E’ tempo di cambiare musica e di cantare l’unica canzone degna di un figlio e di una figlia di Dio che considerano la propria vita di omosessuali una realtà, un dono da vivere nella gioia e nella responsabilità.

La menzogna più devastante sta proprio nel pregiudizio di chi nega all’omosessuale la sua sana voglia di amare, la sua profonda capacità di amare.

sabato 17 marzo 2007

FUORI UN ALTRO

Arrivano sempre venti di libertà dal vaticano…

Un altro teologo della liberazione
viene messo all´indice: il notissimo Jon Sobrino, spagnolo di nascita ma salvadoregno di adozione.

Due le accuse di Ratzinger: il teologo è troppo partigiano dalla parte dei poveri e nei suoi libri ci sono errori circa la figura di Gesù che risulta troppo storico e umanizzato.

In realtà Sobrino è il più competente teologo della liberazione in America latina che, come ho fatto presente nei miei ultimi libri, ha demolito l’impianto delle cristologie ellenistiche dimostrando il loro linguaggio contingente, datato, inadeguato al nostro tempo.

Questo è il vero nodo che il vaticano non digerisce e non tollera.

Ma sotto accusa non è solo Sobrino, è la Teologia della Liberazione. Non deve essere un caso se questo pronunciamento avviene a poco meno di due mesi dal viaggio in Brasile di Benedetto XVI dove partecipa all’assemblea generale della Chiesa latino-americana.

E’ proprio Ratzinger, allora custode della ortodossia cattolica, prima nel 1984 e poi nel 1986 è stato l’autore dei due documenti vaticano che avevano l’obbiettivo di mettere in riga proprio quelle componenti della Teologia della liberazione accusate di scivolare verso l’ideologismo marxista.

Pare un paradosso, ma tutto accade a pochi giorni dal 24 marzo nel quale si ricorda il 27esimo anniversario dell’assassinio di mons. Oscar Romero, di cui Sobrino fu amico” (L’Unità, 15 marzo 2007).

Esprimo piena solidarietà all’amico e confratello ora colpito.

Avanti con gioia… Certe “maledizioni” in realtà diventano una benedizione.

venerdì 16 marzo 2007

UNO SPLENDIDO CARDINAL MARTINI

Da Gerusalemme, dove vive nella riflessione e nel dialogo, il vecchissimo cardinal Martini sta prendendo coraggio e rilascia dichiarazioni di splendida onestà e lucidità.

Il Martini di Gerusalemme è molto più coraggioso del Martini arcivescovo di Milano.

Il suo messaggio, mite ed audacie, è in aperto dissenso con il vaticano: “La chiesa non dia ordini. Serve il dialogo laici-cattolici. Il mio auspicio è che nella comunità ecclesiale sia possibile discutere e anche non essere d’accordo. Bisogna parlare di cose che la gente capisce e ascoltare le sue sofferenze”.

Ma “ascoltare” è parola che in vaticano (bisogna scriverlo minuscolo) è uscita dal vocabolario e assolutamente estranea.

Ha ragione Martini: “Il problema è essere realmente presenti alle situazioni in cui si vive, essere in ascolto, lasciare risuonare le parole degli altri dentro di sé…”.

Questa concezione è un altro continente rispetto al vaticano…

giovedì 15 marzo 2007

IL POPOLO - CHIESA ESISTE DAVVERO

Davanti ai documenti della gerarchia esiste, anche in questa Italia, un popolo di Dio che è libero, gioioso, dialogante.

La gerarchia parla, ma ormai c’è una chiesa adulta che sa camminare con la schiena diritta e sa scegliere.

E’ davvero bello sentire per le strade i commenti di moltissima gente che invita ad andare avanti e sorride dei no vaticani.

La saggezza della vita è molto oltre, guarda in tutt’altra direzione.

Non c’è solo la chiesa dell’obbedienza: esister una chiesa del vangelo che non è disposta a lasciarsi trattare da schiavetti e da imbecilli, incapaci di intendere e di volere.

E’ una realtà promettente! Bisogna che rilanciamo continuamente il messaggio evangelico della libertà responsabile. Così guadiamo in avanti con tanta fiducia.

Il documento del papa è già catalogato in biblioteca tra le reliquie dell’inciviltà cattolica ufficiale.

mercoledì 14 marzo 2007

UN PAPA CONTRO NATURA

Ho terminato la lettura delle 130 pagine dell’ultimo documento vaticano Sacramentum Caritatis. Una fatica che non consiglio a nessuno e un fastidio durato quasi 3 ore… Ora il testo è già in edicola un po’ ovunque.

Credo che con questo documento il papa si separi da gran parte della sua stessa chiesa. Diventa così un papa scismatico.

Il documento, che esce puntale per “comandare” agli onorevoli fedelissimi di sabotare i DICO, è contro la natura della Chiesa conciliare, contro la natura della laicità, contro la natura del dialogo fra culture: tutto contro natura.

Attenzione: chi ha un po’ di dignità nella chiesa, alzi la voce. Altrimenti, chiedendo scusa a quel simpatico animaletto, è un coniglio, un vero coniglio.

Liberi figli e libere figlie di Dio continuiamo il nostro impegno umano e cristiano in aperto dissenso con il papa.

Solo il Vangelo possiede il nostro cuore e ancora il Vangelo ci spinge a vivere le nostre responsabilità nel campo aperto del mondo con tutte le donne e con tutti gli uomini che cercano dignità e libertà.

Il documento del papa è veramente lettera morta.

UN NUOVO DOCUMENTO

Veramente siamo giunti all’insulto.

Ma probabilmente l’insulto più pesante è quello del nuovo documento che commenterò nei prossimi giorni.

Sto facendone una lettura integrale per poter compiere una valutazione più oggettiva e rigorosa.

I primi segnali sono addirittura allarmanti. La chiesa dei NO passa alla caccia alle streghe.

martedì 13 marzo 2007

PERCHE’ IN PIAZZA FARNESE

Ho preso parte sabato all’incontro-manifestazione di Piazza Farnese perché sono sempre più convinto che lottare per i diritti delle persone sta al centro del mio impegno civico e cristiano.

E’ stata una festa piena di gioia e di colori. Ma non è mancata la consapevolezza che i “DICO” vanno conquistati con una lotta che sarà ancora assai impegnativa.

Diamoci fiato, speranza, fiducia per il tempo che verrà e mettiamo impegno nell’allargare il dibattito.

Intanto promette bene il fatto che molti movimenti, gruppi ed associazioni si mobilitato e, con azioni convergenti, fanno sentire la loro voce incalzante anche ai politici.

Riporto qui alcune poesie che scrissi nell’anno 1979.


Ad un omosessuale

Tu abiti
spesso
l’inferno tragico
della clandestinità
per l’arroganza
di chi crede
che essere diverso
da lui
significhi
essere spregevole.
Vince ancora
la squallida normalità
che non sopporta
il mistero.


Bellissimo Gesù

Mi direbbero invano
che non hai un domani:
nessuno
è più attuale
di te,
germoglio di Nazareth,
partigiano della libertà,
che hai fatto fiorire
nella nostra carne
il nome e il volto
di Dio.

venerdì 9 marzo 2007

BAGNASCO: UNA BELLA CARRIERA

Non c’è male… “Siamo sistemati a dovere”, mi scrive un impiegato vaticano.

La sua allusione è esplicita ed allarmata, guardando il curriculum del nuovo presidente della CEI (Conferenza dei vescovi italiani): monsignor Bagnasco passa da generale di Corpo d’Armata in pensione a Presidente dei vescovi. Tra parentesi: a quanto ammonta la sua pensione mensile?

Non so se si porterà dietro qualche fucile o carroarmato del suo vecchio mestiere d’armi, ma è certo che avremo un comandante militare a dirigere la chiesa cattolica ufficiale.

Nel mio libro “L’ultima ruota del carro” ho ampliamente documentato la struttura militare della “chiesa in armi”, come viene ufficialmente chiamata.

Probabilmente per monsignor Bagnasco i cattolici italiani, vista la sua cultura militare, dovrebbero diventare tutti dei “soldatini del papa” o delle “soldatesse dell’immacolata”, custodi della “santità della famiglia”. La continuità con Ruini è super garantita.

Ma, paradossalmente, quando si militarizza la chiesa per costruire l’esercito dei fedelissimi, nascono tanti spiriti ribelli e si espandono i sogni e i progetti di libertà. Signor Generale Bagnasco, non tutti/e le diranno SIGNORSI’.

Ci preme “disarmare la società e la chiesa” perché siamo innamorati di Gesù e del Dio della pace e della libertà di cui egli ci ha dato una vivente e straordinaria testimonianza.

ATTENTI! ARRIVA IL GENERALE

Ai vertici dell’episcopato italiano arriva l’Arcivescovo Bagnasco. La continuità con Ruini è così garantita.

Attuale arcivescovo di Genova, Bagnasco è stato vescovo castrense con i gradi di generale dell’esercito italiano. Supremo capo della “chiesa in armi”, è stato un militare convinto e sarà un presidente dei vescovi italiani di sicura tempra militante.

E si noti: i vescovi italiani, trattati un po’ da minorenni, ricevono la nomina dal papa che non li ritiene nemmeno capaci di eleggersi il loro presidente.

Resta così confermata la linea pastorale dello scontro ad ogni costo e su ogni terreno. Si chiude completamente la dinamica di un dialogo libero e rispettoso.

I cattolici vengono sollecitati allo spirito della crociata per cui ogni passo verso una società laica e pluralista viene letto come parte di un progetto anticristiano.

Questo fare muro diffonde nella chiesa cattolica un atteggiamento di aggressiva difesa dei privilegi, degli spazi e di una malintesa identità e l’atteggiamento del pacato discernimento è fatalmente compromesso.

Ma questo vecchissimo papa sta ulteriormente spostando a destra il collegio cardinalizio. Ci sono molto nuove nomine cardinalizie e i “designati” sono tutti, proprio tutti, dei vescovi reazionari e anticonciliari.

Il futuro istituzionale della chiesa cattolica ufficiale è in mani sicure e apertamente destrorse. La fede, però, è nelle mani di Dio. E nessun apparato burocratico può soffocare la Sua azione.

Del resto i problemi che il calendario della storia ci presenta non passano per il vaticano e non aspettano il placet del vaticano. Guardiamo avanti con impegno.

Diventa più urgente e necessario coltivare uno spirito costruttivo: lettura biblica, studio, impegno civile e politico per i diritti, per la pace e il lavoro.

mercoledì 7 marzo 2007

ATTRAVERSO LA STORIA SI IRROBUSTISCE LA FEDE

Sotto questo bel titolo Repubblica di sabato 3 marzo pubblica, tra le lettere, queste brevi e significative parole del professor Mauro Pesce in risposta alle “accuse vaticane”.

I lettori che non sono mossi da ansia apologetica hanno capito bene che nelle mie risposte ad Augias ‘Inchiesta su Gesù’ non c’era una parola contro la fede o il sentimento religioso. Credo, anzi, che sia oggi urgente tornare ad interrogarsi seriamente sulla figura storica di Gesù. Altra cosa è il passaggio all’adesione di fede che presuppone una serie di mediazioni che la teologia ben conosce. Rinunciare a porsi domande storiche per paura di creare scompiglio tra i ‘semplici’ è una politica discutibile. Così, se nell’opinione pubblica si diffondono delle domande, molti fedeli non hanno gli strumenti per rispondere. Il mio lavoro storico sui vangeli e su Gesù non è in polemica o ‘contro’ le opinioni degli altri. In ogni caso, non ho intenzione di mettermi a tacere di fronte agli interrogativi seri sulle religioni diffusi nella nostra società”.

Questa si chiama chiarezza personale o metodologica. I custodi dei dogmi, ovviamente, la penano diversamente, ma le ricerche proseguono perché gli interrogativi non finiscono mai e ci stimolano a guardare avanti.

“IL VATICANO COSI’ DISCRIMINA I DISABILI”

Questo è il titolo dell’articolo di Fabio Amato che ho letto su L’Unità del 26 febbraio. Mi sembra utile segnalarlo e riportarlo perché, anche su questo terreno, il Vaticano procede come i gamberi.

Non si salva più nessuno dagli strali del Vaticano… “L’anatema era partito a inizio febbraio: ‘Eugenetica strisciante, inaccettabili riferimenti’ all’aborto. Con queste parole l’Avvenire aveva anticipato l’intenzione del Vaticano di non recepire la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

50 articoli, 25 pagine, il testo approvato dall’assemblea dell’Onu il 13 dicembre scorso sarà in vigore a partire dal 30 marzo dopo la ratifica di almeno 20 stati.

Ma ‘la storica realizzazione per 650 milioni di persone con disabilità di tutto il mondo’ – parole dell’ex segretario dell’Onu Kofi Annan – nella Santa sede non avrà seguito. Colpa di sole sette righe dell’articolo 25, e della definizione che contengono. ‘Una posizione non spiegabile’, dice il professor Giuseppe Benagiano ‘per rifiutare in toto il testo’.

Già direttore dell’Istituto superiore di Sanità e oggi ordinario di Ostetricia e Ginecologia alla Sapienza di Roma, di quella definizione Benagiano porta il segno della paternità. Scienziato cattolico – ‘né di destra né di sinistra, cattolico e basta’ – è stato a capo del dipartimento dell’Organizzazione mondiale della sanità cui si devono alcuni dei concetti inseriti successivamente nel testo.

Tra cui proprio le poche contestate righe dell’articolo 25: ‘Gli Stati firmatari devono provvedere per le persone con disabilità la stessa gamma e lo stesso standard, degli stessi servizi (…) che sono messi a disposizione di tutte le altre persone, ivi compresi quelli dell’area della salute in materia di riproduzione e sessualità (sexual and reproductive health), nonché dei programmi di salute pubblica su base nazionale’.

Ebbene, dietro a questo diritto, anzi, dietro alla definizione di ‘salute riproduttiva’ – ha rivendicato L’avvenire – ci sarebbero ‘riferimenti inaccettabili’ a pratiche abortive. Come a dire, spiega il professore, che ‘la Santa Sede ritiene che facendosi scudo di questa definizione, le lobbies internazionali nascondano l’intenzione di promuovere piani per regolare le nascite’.

La verità, al contrario, è che proprio quel concetto, ritenuto un ‘terribile mostro’, ha contribuito a liberare il mondo da un ‘controllo coercitivo delle nascite’. ‘Il concetto di salute riproduttiva’ oggi inserito nelle convenzione, infatti, ‘è nato una quindicina di anni fa’ e ‘lungi dal nascondere piani per regolare le nascite, ha invece reso esplicito l’obbligo dei governi firmatari di abbandonare ogni politica di controllo e di abbracciare quello di libera pianificazione delle nascite, diventando lo strumento più importante mai realizzato’.

Tanto che pochi mesi dopo l’adozione della definizione - dopo la Conferenza internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo del 1994 al Cairo - ‘molti governi dei Paesi in via di sviluppo hanno adottato misure volte a salvaguardare il diritto di ciascuna coppia di decidere in materia di pianificazione familiare’.

Un caso per tutti quello dell’India che ‘abolì il sistema delle quote, cioè il numero minimo di interventi in materia contraccettiva - pillole distribuite, spirali inserite, sterilizzazione – che ogni addetto doveva obbligatoriamente svolgere nel proprio territorio’. Del resto ricorda ancora Benagiano, all’epoca della conferenza del Cairo il Vaticano scelse di ‘approvare con riserva’ gli stessi concetti che oggi ha ‘invalidato globalmente’.

Certo, aggiunge, ‘una distorsione è possibile per ogni accordo. Ciò che conta, però, è il significato dei documenti e l’effetto che producono. E nel caso della Conferenza del Cairo è l’idea stessa di controllo e pianificazione governativa delle nascite ad essere bandita, così come nella Convenzione sui diritti dei Disabili non vi è - obbiettivamente - nulla che suggerisca ai governi di adottare politiche eugenetiche’.

L’unico dato che resta, perciò, è quello di una opposizione che appare immotivata: ‘Io per primo - spiega infatti il professore – credo che l’aborto sia un fatto intrinsecamente negativo, ma mi auguro un ripensamento sulla convenzione, perché l’unico messaggio che passerebbe, in assenza di una approvazione con riserva, è il rifiuto della Santa sede di riconoscere i diritti dei disabili’. “

lunedì 5 marzo 2007

IL BIBLISTA VATICANO SI CORREGGE

Il biblista cattolico monsignor Romano Penna, docente alla Pontificia Università lateranense, ingaggiato dal cardinale Ruini come “difensore della fede” contro gli errori del Codice da Vinci e di Inchiesta su Gesù, ha inviato una rettifica a Repubblica di venerdì 2 marzo che suona come sostanziale ritrattazione delle critiche mosse al libro di Augias - Pesce:

“Nell’articolo ‘Sciocchezze, errori e falsità: così la Chiesa processa i best seller’ sono riportate parole attribuite a me che non riferiscono adeguatamente il mio pensiero. Ecco dunque le mie precisazioni ‘autentiche’. Prima di tutto nego decisamente che si possano porre sullo stesso piano il libro di Dan Brown e quello di Augias - Pesce: trai due passa la stessa differenza che c’è tra un romanziere e un ricercatore di laboratorio. A questo proposito, dev’essere anzitutto ben chiaro che io stimo il prof. Pesce come uno dei migliori studiosi delle origine cristiane oggi esistente in Italia. Il libro è un bell’esempio di applicazione della critica storica alla ricostruzione della figura del Gesù terreno. La stessa devozione e la dogmatica hanno tutto da guadagnare da una ricollocazione storica di Gesù nel suo tempo e nel suo ambiente. Dire poi che le dichiarazioni di Pesce sono minimaliste (il termine è infelice perché ambiguo) significa soltanto riconoscere che egli opera da storico, limitandosi alla fisionomia religioso-culturale di Gesù tralasciando di approfondire il discorso sulle ermeneutiche di fede sviluppatesi su di lui. Io stesso, però, sostengo che la risurrezione di Gesù non può essere qualificata come evento storico, essendo invece storico il dato della fede dei discepoli in lui risorto. Perciò il libro di Augias - Pesce, come succede anche per quanto io stesso ho modo di pubblicare, non chiude il dibattito: semmai lo rinfocola. Tuttavia questo è il bello, cioè che la ricerca (e lo stesso vale per la fede!) non si chiude mai in se stessa ma si apre a sempre nuovi orizzonti, sapendo che la posta in gioco è inesauribile”.

Che cosa può essere successo? E’ possibile che i resoconti giornalistici abbiano riferito le sue parole con qualche imprecisione.

Ma resta grave il fatto che un biblista serio, per quanto assolutamente fedele al vaticano, si sia prestato alla caccia alle streghe scatenata dalle alte gerarchie contro un collega qualificatissimo come il professor Pesce.

E’ stato monsignor Romano Penna a prestarsi a questo perfido gioco di accomunare nella sua relazione le due opere. Questo è, caro monsignor Penna, lo squallore al quale Lei ha prestato il fianco.

La sua correzione successiva Le fa onore, ma resta il fatto che o l’ingenuità o qualcos’altro l’hanno reso funzionale a questo disegno oscurantista di Ruini.

Non metta sul conto dei giornalisti, caro monsignore, il totale travisamento delle Sue parole.

Lei, con tutta probabilità si è accorto della trappola in cui è caduto e ora, da uomo intelligente, è corso ai ripari con questa tardiva correzione che può benissimo essere letta come una onesta ritrattazione.

UNA GRAVE OFFESA

La riunione vaticana indetta allo scopo di “processare” Il codice da Vinci e Inchiesta su Gesù ha dato vita ad una caccia alle streghe che, in questo clima ecclesiale, non mi stupisce più di tanto.

Argomentare, dibattere, confrontarsi è sempre proficuo. Costituisce parte integrante di ogni ricerca degna di questo nome. Ma come si fa a mettere insieme Autori e opere così diverse?

Mentre Dan Brown ha scritto un romanzo in cui fantasie, inesattezze e creatività stravaganti si mescolano con alcuni tratti storici, l’opera di Augias e Pesce rappresenta una divulgazione seria, per quanto discutibile, di rigorose ricerche.

La beffa, il disprezzo e l’offesa stanno proprio dentro questa operazione, dentro questo accostamento.

Quando mai Roma imparerà un po’ di rispetto e, soprattutto, quando non avrà paura di promuovere una ricerca laica, che non è affatto nemica della fede?

Il libro di Augias - Pesce, che ho presentato mercoledì 28 febbraio in un affollato salone di Torino, si presta alla discussione.

Vorrei dire che è chiaramente un invito a proseguire la ricerca, ma è la paura di mettere in discussione qualche dogmatica certezza scaduta che scatena ogni giorno una nuova “crociata” ai vertici della gerarchia.

Speriamo che questa incriminazione vaticana suoni come un ulteriore invito alla lettura e alla riflessione. Anche questo è il pregio del libro di Augias - Pesce.

sabato 3 marzo 2007

CUBA: NOMINATA UNA DONNA VESCOVO

La Havana – Nerva Cot Aguilera, 69 anni, una delle tre donne pastore anglicane cubane, è stata nominata vescovo. Si tratta della prima donna vescovo della Comunione anglicana in America latina. E’ stata nominata vescovo ausiliare lo scorso 4 febbraio, a Cardenas, città a est della capitale La Havana. “La nostra missione non consiste nel ripetere ciò che i nostri confratelli hanno fatto finora”, ha dichiarato la neoeletta, intervistata dall’agenzia Reuters. La vescova ha sottolineato che la sua nomina rappresenta un gesto di riconoscimento del ruolo svolto dalle donne nella chiesa episcopaliana (anglicana) di Cuba. Nerva Cot Aguilera sarà consacrata ufficialmente nel corso di una cerimonia che si svolgerà a giugno nella cattedrale della Santa Trinità, a La Havana. (nev/ve)

La notizia, pubblicata su Riforma, il settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi del 2 marzo 2007, testimonia quanto le chiese cristiane stiano ripensando i loro ministeri. E’ sempre più isolata la posizione delle gerarchie cattoliche nel loro no al ministero femminile.

giovedì 1 marzo 2007

UN AMORE CHE CI DA TEMPO

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai» (Luca 13, 1-9).


Solo Luca ci riporta questo brano così straripante di messaggi. Questa notissima pagina del Vangelo mi sembra una moneta a due facce, un dittico teologico apparentemente contraddittorio. Nella prima parte è evidente il richiamo forte ed urgente alla conversione; nella seconda campeggia la pazienza eccezionale di questo vignaiolo.

Nessuna correlazione

Anche ai tempi di Gesù di Nazareth trovava larga diffusione l'idea che esistesse un rapporto di causalità tra colpa e castigo. Anche nella vicenda del cieco nato è evidente questa concezione: "Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio." (Giovanni 9, 1-3).

Anche qui la smentita di Gesù colpisce alla radice questo pregiudizio che purtroppo è tuttora molto presente. Le “disgrazie” non sono il castigo di Dio conseguente ad una colpa.

Siamo di fronte a due episodi traumatici dei quali non è così facile ricostruire i contorni storici precisi. L'uno sembra la cronaca di una "disgrazia", un crollo che ha seppellito 18 persone. L'altra vicenda probabilmente si riferisce ad un massacro operato da Pilato.

Per Gesù non si tratta di pensare ad un Dio che ha colpito e punito quelle persone perchè erano dei peccatori più di altri. Si tratta piuttosto di riflettere dentro i fatti della vita, dentro gli enigmi e le contraddizioni dell'esistenza quotidiana, per cogliere la nostra fragilità di creature e soprattutto per capire che tutti/e, senza eccezione, abbiamo bisogno di convertirci.

Anzichè dividerci in buoni e cattivi diventa essenziale per Gesù il fatto che tutti/e abbiamo la stessa chiamata e la stessa necessità di convertirci. "Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo", dice il Vangelo per ben due volte. La frase non è una minaccia, ma una sollecitazione ad entrare subito in un cammino di conversione.

Conversione dunque

Questa parola ha perso troppo spesso il suo significato biblico radicale. Essa indica non qualche cambiamento di facciata, qualche miglioria, qualche ritocco alla nostra abituale condotta, qualche correzione ai nostri comportamenti. Assolutamente no. Convertirsi significa cambiare strada, invertire la rotta, cambiare cuore e vita, andare nella direzione del vangelo, controcorrente.

Ci fu un tempo, non così lontano, in cui noi cristiani pensavamo che si dovessero "convertire" al cristianesimo gli ebrei, i mussulmani, gli induisti. Mandavamo in tutto il mondo dei missionari per "convertire" i pagani e i credenti di altre religioni. Anzi, è successo addirittura che la gerarchia e la teologia cattolica ufficiale pensassero che un vero cristiano protestante o ortodosso... dovesse "convertirsi" al cattolicesimo.

Questi terribili fraintendimenti e queste incredibili arroganze spesso hanno contagiato le nostre tradizioni religiose e hanno creato una mentalità distorta. Un ebreo, un islamico... vivono la conversione dentro la loro esperienza di fede come noi cristiani la viviamo dentro la nostra. Non si tratta di "convertire alla nostra religione" o alla nostra chiesa, ma semmai di testimoniarci a vicenda i nostri cammini di conversione. Solo così, superando questi equivoci, possiamo mettere a fuoco l'invito di Gesù per ciascuno/a di noi.

Sono io che debbo sempre e ancora cambiare la mia vita affidandomi ogni giorno all'azione trasformante di Dio. L'impegno riguarda appunto tutta la vita e il periodo quaresimale che stiamo vivendo ha la funzione di ricordarcelo più intensamente. Anche perchè, attorniati/e da mille richiami e sospinti verso la superficialità, abbiamo sempre di più il bisogno di "ritornare all'essenziale" e di andare alla radici delle cose.

Due letture

Per questo "cammino" di approfondimento" propongo la lettura di due libri: "Stirpe di Giona" (Edizione Viottoli) e "Oltre l'erba voglio" (Edizione Cittadella). In questo secondo libro, di cui è autore il teologo Armido Rizzi, ci viene proposto un cammino "dal narcisismo postmoderno al soggetto responsabile". Pochi libri nella mia vita hanno lasciato una traccia profonda come questo. Letto a piccoli sorsi, ci aiuta a muovere i passi verso l'orizzonte "radicale" del regno di Dio.

Pensare oltre il pregiudizio

Ma, a questo punto, vorrei inserire alcune ulteriori sottolineature.

E’ bello vedere Gesù che pone domande, che interpella, che interroga i suoi interlocutori. Gesù è abituato a prendere sul serio la realtà, non si estranea, non si sottrae alle domande che provengono dai fatti quotidiani. I suoi interlocutori lo interpellano su un “fatto di cronaca” e Gesù accetta di riflettere con loro e dice la sua, si espone. Si lascia interrogare a sua volta.

Ciò che accade nel mondo per Gesù non è solo “cronaca”; è realtà che fa pensare, che interpella, non qualcosa che si guarda con distacco.

Ma non solo Gesù si lascia interpellare dagli avvenimenti. Egli è capace di opporsi ai pregiudizi. Sa dire il suo no radicale a chi vuole mantenere il rapporto di causa ed effetto tra “colpa e disgrazia”. Gesù è maestro anche in questo: sa combattere i pregiudizi anche perché vede chiaramente che essi costituiscono la scorciatoia per sottrarsi all’impegno di conversione che tocca proprio noi in prima persona e non è solo un “dovere” degli altri.

Quanto bisogno c’è di lottare oggi contro il pregiudizio, di riprenderci il coraggio di pensare, di resistere al qualunquismo di chi guarda ciò che accade e poi … si rifugia, come estraneo, in un mondo tutto suo, protetto e fuori dalla mischia.

La pazienza e il concime

I versetti dal 6 al 9, dopo il severo richiamo ad un radicale cambiamento, ci danno subito l'impressione di trovarci in un "clima" diverso. In realtà i due "quadri" stanno in perfetta continuità e coerenza.

Quel Dio che ci sollecita a cambiare vita è in realtà un Dio "umano", paziente, che sa attendere. Qui nella parabola veste i panni del vignaiolo. Se non ci sono frutti (e da ben tre anni!) che ci sta a fare questo fico nella vigna? E' proprio il caso di tagliarlo. Eppure a questa proposta e a questa soluzione logica il contadino ne preferisce un'altra. Egli propone al padrone della vigna di lasciarlo ancora un anno, ma soprattutto presenta un progetto di nuove iniziative: vuole zappare tutt'intorno al fico con cura e mettere del concime e ... attendere con fiducia se comparirà qualche frutto.

C'è un crescendo di impegno e di cura in questo vignaiolo che è "parabola", immagine, pallida idea delle strategie di amore con cui Dio ci "assedia" per risvegliarci alla vita: un Dio che non si dà per vinto. Questo particolare del concime mi sembra davvero significativo. Nutrire le radici di un albero è come toccare il cuore di una persona. Sì, Dio cerca il nostro cuore e vuole raggiungerlo con le Sue proposte.

Egli, l'Eterno, è anche un Dio che sa attendere, ci sospinge ma ci lascia il tempo e rispetta i tempi della nostra crescita.

Ma questa parabola è una pungente provocazione per la nostra vita quotidiana, per la relazione con noi stessi e con le altre persone. L’amore dà il tempo… il tempo di ripartire, di crescere, di zappare intorno e di mettere concime.

A volte, quando l’alberello della mia vita è sterile, posso essere tentato di buttarlo nel fuoco. Invece si tratta di riprendere fiato, nutrimento, voglia di vivere, fiducia. E così con le altre persone… L’impazienza chiude tante porte, preclude tanti cammini… L’amore sa rispettare i tempi, sa dare tempo. Anche il sole a volte indugia a farsi vedere oltre le nubi e noi vorremmo che le persone viaggiassero a scansioni temporali perfette.

Ti ringrazio

Ti benedico, caro Dio, Dio vignaiolo, perchè non lasci mancare l'acqua e il concime alle radici del mio alberello. Di tanto in tanto devo ricordarmi che Tu zappi tutt' intorno a me e spacchi la terra arida in cui qualche volta mi trovo. Io so che Tu passi ancora, anche se ho perso tanti treni. Tu passi in orario e fuori orario e le Tue "stazioni" sono i nostri cuori. Tu dai il tempo ad un seme di germogliare, di farsi stelo e di diventare spiga.

Grazie, o Dio, che ci dai tempo e vita per crescere e per amare.