venerdì 31 agosto 2007

SINODO VALDESE

A Torre Pellice, vicino a Pinerolo, in questi giorni il Sinodo annuale delle chiese valdo-metodiste sta terminando.

Il pastore Sergio Ribet aveva alzato il tono sottolineando che la chiesa cattolica romana di Ratzinger sta uccidendo il dialogo.

Una onestà apprezzabile che rilancia un ecumenismo della chiarezza, fuori dai ritornati tatticismi.

Sono stati consacrati al ministero tre giovani candidati. Il Sinodo in questi giorni ha discusso di ecumenismo, di laicità, di pena di morte.

Le chiese valdo-metodiste in Italia devono fare i conti con l’ingresso nelle loro comunità di molti fratelli e sorelle stranieri che, sovente, provengono da esperienze di interpretazione biblica assai diverse.

Come si può leggere di seguito, ho inviato il saluto della nostra comunità di base, anche per manifestare l’apprezzamento per queste chiese con le quali viviamo momenti di profonda comunione.


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Un saluto al Sinodo

Pinerolo, 26 agosto 2007

Carissimi fratelli e sorelle,

vi scrivo con molto affetto per esprimervi la vicinanza della comunità cristiana di base di Pinerolo.

Vi assicuriamo la nostra preghiera affinché lo Spirito di Dio guidi i lavori del vostro Sinodo e animi la testimonianza delle vostre comunità sparse in questa Italia ancora tanto clericale.

Ci conceda il Signore di intensificare il dialogo e la cooperazione evangelica con le vostre chiese a servizio del Regno di Dio.

per la comunità cristiana di base
Franco Barbero (presbitero)

LA TELEVISIONE ITALIANA SECONDO MOORE

“L’ultima volta che sono venuto in Italia, 18 anni fa, accendendo la televisione ho pensato: ‘che bello che ci sia una tv con programmi e dibattiti interessanti’.

Poi l’ho accesa ieri sera… che è successo qui? Mi sembrava di stare negli Stati Uniti.

State attenti perché se alla gente invece di informazioni si dà solo bla bla bla, il cervello diventa una pappetta” (Michael Moore, Ansa 24 agosto).

LE NOTTI BIANCHE

Spero proprio che a nessuno sia sfuggito l’articolo scritto da Ilvo Diamanti su Repubblica del 26 agosto sulle “notti bianche”. Lo condivido totalmente, come quasi sempre mi capita quando leggo le sue analisi e le sue riflessioni.

Ormai le notti bianche sono una moda, una consuetudine, un costume. I comuni vanno a gare nel proporle e nell’organizzarle e incontrano il favore di tutti o quasi: dai commercianti agli spacciatori sono tutti entusiasti.

E’ difficili aggiungere delle osservazioni all’analisi così precisa, profonda e severa del professor Diamanti: “questo Paese sembra deciso ad abolire la notte. Per non uscire mai dal sogno. Per non provare l’angoscia del risveglio”.

“Alla comunità e alla società si sostituisce la folla” e ci si incontra senza relazionare, ma per essere semplicemente vicini in una vita quotidiana spesso fatta di isolamento.

La folla allora diventa l’illusoria terapia della solitudine. Direi qualcosa di più grave.

Le notti bianche non solo rappresentano una scorciatoia e un’illusione per uscire dalla crescente solitudine.

Sono una strategia assolutamente seduttiva e vincente per chi vuole allagare l’area dei consumatori e il volume degli affari.

Ancora più le notti bianche rappresentato una maniera allegra per intrattenere e imbambolare la gente affinché pensi sempre di meno.

PROVE DI CONCILIO

Sabato 1° settembre alle ore 17 (c.so Torino 288, Pinerolo) presento una iniziativa che sto progettando.

“PROVE DI CONCILIO” sarà una due giorni in cui vari relatori e relatrici si confronteranno ed esporranno proposte costruttive per rilanciare l’esperienza di un “nuovo concilio”.

Questa iniziativa potrà essere realizzata in ogni chiesa locale con l’intento di offrire più proposte per il rinnovamento evangelico della nostra chiesa.

Ad ogni “voce” sarà posta questa domanda: “che cosa propone il tuo gruppo-movimento per il rinnovamento evangelico della nostra chiesa?”.

Hanno già assicurato la loro “voce” persone di “Noi siamo Chiesa”, gay, lesbiche, transessuali, separati/e, mogli di preti, preti, cristiani senza chiesa…

In settembre stabiliremo luogo e data con precisione. Non avremo relazioni ufficiali, ma “voci dal popolo di Dio” che possano far nascere dal basso questo esigenza di un concilio “altro”.

Si tratta di un piccolo seme gettato nel solco della vita quotidiana.

Per informazioni e proposte potete contattarmi al telefono o per e-mail. L’incontro di sabato 1 settembre è apertissimo a chiunque voglia partecipare.

mercoledì 29 agosto 2007

CURA PASTORALE ESTIVA

L’estate fra pochi giorni finisce… Una comunità cristiana, a differenza di un gruppo, non chiude le proprie attività in luglio e agosto.

Anche nella mia comunità ci sono fratelli e sorelle che d’estate si rendono invisibili o quasi.

La mia esperienza di cura pastorale mi dice, invece, che l’estate è in assoluto il periodo in cui ci sono più incontri, passaggi (Torino. Milano, Marsiglia, Padova, Innsbruk, Bologna, Aosta, Airasca, Genova, Voghera, Trento, Orbassano, Perugia…) che in tutti gli altri periodi dell’anno.

Ho incontrato a colloquio oltre 130 persone che non conoscevo. Non riesco a capire questa idea che l’estate sia una stagione comunitariamente vuota.

Sono contento che tutta l’estate alcuni fratelli e sorelle della comunità abbiano, alternandosi, continuato a preparare il gruppo biblico, la celebrazione eucaristica, l’accoglienza delle persone, gli impegni di volontariato. E non vi dico il lavoro che ha dato questo blog…

Gli stessi incontri estivi (due sul battesimo, uno sulla morte, uno su “prove di concilio” oltre a quelli delle donne che con enorme zelo stanno preparando il loro incontro nazionale) hanno permesso approfondimenti inediti nella nostra ricerca comunitaria.

Ringrazio Dio di questa estate in cui ce l’ho messa tutta e ho cercato di fare la mia parte per tenero vivo lo spazio comunitario.

E poi la gioia di incontrare ogni giorno tossicodipendenti e sofferenti malati è impagabile: ci aiuta a guardare in faccia la realtà, a studiare, a cercare sempre e ancora.

SEMPRE PIU’ RAZZISTI

Le forme basiche dell’intolleranza e della discriminazione, le aggressioni omofobe e antisemite, sono in continuo aumento in Europa e il fenomeno è scarsamente monitorato.

L’odio e la violenza verso i gay, ebrei e musulmani sarà uno dei problemi da affrontare prima che ci si trovi in emergenza.

Su questo terreno i governi, le istituzioni e le chiese hanno enormi responsabilità.

La gerarchia cattolica, con le sue patologie da prima della classe, con la sua morale sessuofobia, gioca un ruolo nefasto mentre avrebbe tante possibilità di gettare ponti tra culture, tradizioni e persone diverse.

Michele Serra, in un lunga e documentata riflessione pubblicata su “Repubblica” del 20 agosto scrive:

“Colpisce sempre con quanta spensieratezza e quanta facilità, da qualche anno in qua, i rozzi leader dell’intolleranza sparano le loro nefandezze e le loro scempiaggini, stadi pieni di razzismo, giornali che rigurgitano pregiudizio e disprezzo, cattivi preti che disfano il cammino di accoglienza e di dialogo di quelli buoni e generosi.

Sia meno afasica, meno ritegnosa e perfino più allegra e disinvolta la risposta degli umili e dei democratici.

Se non sarà proprio amore, come azzarda Veltroni, a salvare la Polis, può essere il rispetto per gli uomini e le donne, sentimento meno reboante ma amatissimo dagli europei civili, ad armare lo spirito e i comportamenti contro l’ondata razzista, omofoba e xenofoba che strozza l’Europa.

Ad alta voce, però. Ad alta e a testa alta, specie quando piovono le randellate”.

Penso che non basta viaggiare e mescolarsi per far crescere una cultura del dialogo e dell’accoglienza.

Le differenze, per diventare conviviali, hanno bisogno di essere prese sul serio con le risorse che offrono e le difficoltà che presentano.

L’Europa, che ha pregevoli tradizioni nelle formulazioni del diritto, in questo momento è attraversata da correnti irrazionali ed egoistiche.

Eppure nel terreno dell’associazionismo di base vivono, un po’ ovunque, esperienze di interculturalità davvero notevoli che dovremo imparare a valorizzare di più.

UNA SCELTA INTELLIGENTE

Repubblica di giovedì 23 agosto:

“La televisione pubblica spagnola ha rinunciato per sempre alla corrida per proteggere i bambini.

Secondo quando reso noto ieri dalla stessa Radio Television Espanola (Rte) in un comunicato, infatti, la rete non trasmetterà mai più corride in diretta, rompendo una tradizione che va avanti da oltre 50 anni.

La decisone, si legge nel comunicato, ‘è stata presa per proteggere i bambini e in conformità con le norme deontologiche adottate dalle principali tv spagnole che limitano le scene di violenza nei programmi prima delle 20’ “.

Forse potrebbe essere utile anche da noi ridimensionare certi spettacoli in cui gli animali vengono violentati in vari modi per creare spettacolo.

ANZICHE’ BRAMBILLA…

Anziché seguire i percorsi politici (!) della signora Brambilla, tanto amata da Berlusconi, molti italiani in questi giorni hanno deciso di documentarsi sullo stato di salute della sanità USA.

Sicko, l’ultimo film di Moore, che in Italia ha riscosso un enorme successo e che ormai è arrivato anche nei più piccoli centri, documenta che negli Stati Uniti 45 milioni cittadini/e americani non hanno un’assicurazione sanitaria. Tra questi si contano 9 milioni di bambini.

Siano sempre nel “paese” tanto decantato della democrazia, della tecnologia…


Visto da vicino, il grande paese mostra un altro volto.

DON DINO D’ALOIA

Il 18 luglio 2007, quaranta giorni fa, don Dino D’Aloia ha inviato al suo vescovo una lettera che qui pubblico.

Chi è don Dino? Un prete di 38 anni, della diocesi di San Severo in Puglia, un uomo e un credente onesto all’ennesima potenza, intelligente, ecumenico, assolutamente estraneo a posizioni rigide, animatore della Casa Ecumenica Eirene.

Io che, invece, ho scelto di continuare a fare il prete in questa chiesa e oltre i suoi confini istituzionali, sento un enorme rispetto verso don Dino che conobbi a San Severo e rividi a Pinerolo.

La sua scelta chiara, limpida, coerente e dolorosissima sarà certamente feconda e darà frutti di umanità e di evangelo nel mondo. Dino D’Aloia non agisce contro perché è uno spirito totalmente costruttivo.

Carissimo Dino, grazie della tua forte testimonianza di umanità e di fede. Ti sono vicino con tutto il cuore.


Ecco, di seguito, la sua lettera che ci aiuta molto bene a capire il suo percorso teologico e spirituale.


Ho atteso sette anni prima di prendere questa decisione, ho sofferto molto e continuo a farlo, ma sento ora che è arrivato il tempo di compiere un passo, importante e dolorosissimo, ma che sia al contempo una scelta chiara che mi liberi dalla indeterminatezza in cui sono vissuto in questi ultimi tempi. Sento che sto vivendo le doglie per la nascita di qualcosa di nuovo nella mia vita.

Con la presente lettera comunico la mia decisione di sospendere il mio servizio di prete nella Chiesa Cattolica. Lo faccio perché voglio bene a lei e perchè voglio bene a me stesso. Non mi sentirei più onesto nel celebrare messa insieme all’assemblea recitando frasi e compiendo gesti in cui non credo più, o meglio, in cui credo in modo diverso da come il catechismo ufficiale della Chiesa li propone. Ad oggi non ci sono quindi le condizioni perché io continui ad esercitare il ministero. Non so cosa possa avvenire domani.

Per diversi anni ho approfondito la mia ricerca teologica e spirituale. Ora ho raggiunto delle convinzioni robuste che in diversi ambiti teologici ritenuti centrali dissentono dall’insegnamento ufficiale della Chiesa. Io sarei felice di continuare a fare il prete dicendo e vivendo ciò che ho maturato dentro, ma questo non è possibile perchè la chiesa cattolica non transige sui dogmi e su alcuni “pilastri teologici” cui io non riesco più ad aderire e che invece per lei sono fondamentali da professare. La crisi di coscienza che ho vissuto in questi anni è presente anche in molti altri cattolici, preti compresi. Diversi preferiscono non esternarle, pochi altri decidono di parlarne e a volte di abbandonare, perché può succedere, come nel mio caso, che la crisi si è fatta troppo lacerante.

In una recente lettera ho comunicato per iscritto il mio pensiero e le mie evoluzioni. Mi è stato consigliato di tenere per me, in silenzio, le mie convinzioni personali e di non comunicarle ai fedeli. A loro va trasmessa solo la verità professata dalla Chiesa Cattolica. Ho meditato a lungo su questo consiglio e ho deciso di non attuarlo, malgrado fosse motivato da tanto amore nei miei confronti e dal desiderio di vedermi comunque inserito nella Chiesa. Ritengo invece che sia mio dovere esprimere apertamente ciò che la coscienza mi suggerisce, anche se questo va a pregiudicare l’esercizio del sacerdozio nella Chiesa cattolica. Non voglio vivere nascondendo le mie convinzioni e quello che sono. Sento invece dentro di me un irrefrenabile impulso alla libertà, pur nel rigoroso rispetto del cammino degli altri.

Non sospendo l’esercizio del ministero perché disprezzo la Chiesa Cattolica, anzi la amo e continuerò a servirla così come potrò, ma sempre senza compromettere la mia libertà e il rispetto della mia coscienza. Sento invece che continuando a starci dentro come prete la userei soprattutto per il ruolo sociale e la posizione sicura che mi garantisce.

Continuo il mio servizio alla causa del vangelo nell’ottica ecumenica nella quale mi sento a mio agio. Svolgerò il mio impegno spirituale e sociale presso la Casa Ecumenica Eirene ed altri spazi ecumenici in cui riesco ad operare nella serenità e nella libertà. Il mio impegno dunque continua con la grinta e l’entusiasmo di sempre. Cambia solo la forma.

San Severo, 18 luglio 2007
Dino d’Aloia

"RESISTERE ! ": BRAVO PARROCO

“Conflitto con il vescovo “Il prete è papà”. Allontanato

Padova - “Il prete ha una compagna ed è diventato papà”.

Questo sarebbe il motivo segreto che ha spinto il vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo, a chiedere al parroco di Monterosso, don Sante Sguotti, 41 anni, di non celebrare più la messa e di dimettersi.

Ma il sacerdote “resiste” e rinvia ogni chiarimento a martedì, convocando anche la stampa, dopo la festa parrocchiale per San Bartolomeo”.

La notizia di Repubblica del 24 agosto è troppo breve per capire bene tutti i contorni della vicenda. Ma è già significativo che qualche prete si prenda il coraggio di non fare “il suddito”.

Auguri a don Sante e alla moglie se sono diventati papà e mamma. Una bella famiglia pastorale dovrebbe proprio restare in parrocchia e rendere ancora più evangelico e umano il ministero del parroco.

Vedremo come la vicenda evolverà.

lunedì 27 agosto 2007

DISTRUTTO L’IRAQ... SI RIENTRA

Anni di menzogne, anni di sterminio, anni di strage e ora parte dall’Inghilterra la richiesta di far rientrare il più presto i soldati inglesi…

Blair, il servo degli USA e guerrafondaio senza ripensamenti, è il vero responsabile, nel senso che è stato colui che ha tessuto le reti filousa e che non ha mai retrocesso d’un passo dai suoi errori.

Egli è stato la spina dorsale dell’alleanza. Ora Bush, prima di cominciare quel ritiro parziale che il fallimento totale gli impone, causerà alcune stragi.

Ma è davanti agli occhi di tutti che l'occupazione americana e inglese dell’Iraq ha acceso una guerra civile che lascia un paese distrutto con un problema di ricostruzione e di riconciliazione difficile da affrontare.

Resta una doppia considerazione ancora: le nostre più note e potenti democrazie continuano a governare con le armi e queste occupazione militari portano sempre di più “a casa nostra” attentati, violenze, stragi.

La violenza dell’occupazione è come una pallina da ping-pong, va e ritorna. Il resto è propaganda, ideologia, mercato.

La pace cammina per altre strade, quelle che la Bibbia conosce: "Frutto della giustizia è la pace".

GIU’ LE MANI...

Nel nascente Partito Democratico c’è chi pensa di cancellare le feste dell’Unità.

Mi sembra una follia e, invece, potrebbe essere un disegno per spingere sempre di più verso il centro.

Non che le feste dell’Unità siano sempre degli eventi di alto livello politico, ma va pur detto che esse rappresentano un momento aggregativi popolare e culturale che “guarda a sinistra”.


L'EUCARESTIA ESISTENZIALE

Ricevo e volentieri ospito

L'EUCARESTIA ESISTENZIALE
di Antonio Thellung


Io sono un pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Viene subito da pensare a una bellissima immagine simbolica, naturalmente, ma Gesù incalza: darò la mia carne per la vita del mondo. A quel punto com'è possibile credergli ? Come può darci da mangiare la sua carne?

Prendere la frase alla lettera può essere il modo più comodo per non prenderla sul serio, per svalutarne il senso. Gesù però non dice parole a caso, così, tanto per dire. Ripete e ripete che è lui il pane di vita, che per vivere bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La sua insistenza lascia intuire un senso concreto, da mettere in pratica nel contesto quotidiano. Le sue sembrano parole di qualcuno che offre materialmente il proprio corpo, come alimento, per dare energia a chi ne ha bisogno. Interpretarle soltanto come invito a istituire un rito, sia pure un sacramento, sembrerebbe riduttivo.

La sua proposta mostra ben altri orizzonti: Gesù spezza il pane per indicarci la sua totale donazione agli altri, invitando ciascuno a fare altrettanto. Il sacramento può essere uno strumento efficace per noi, che siamo distratti, sempre pronti a lasciarci trascinare lontano dalle circostanze. Per questo mangiare il simbolo eucaristico è la via maestra per accogliere lo spirito di Cristo, farlo vivere in noi, trasformarci in lui, offrirci l'un l'altro, diventare alimento reciproco, mangiare la carne, il corpo, il fisico, consumarlo, metabolizzarlo, trasformarlo in soffio vitale. Perché la carne non serve a nulla, dice ancora Gesù, se non come alimento dello spirito.

Ma fermarsi al rituale sarebbe tradire le sue intenzioni, che invitano invece a creare concretamente eucarestia nel quotidiano, a coinvolgersi con fratelli e sorelle per offrire in nutrimento la propria vita, senza bisogno di farsi materialmente masticare, ma con l'atteggiamento benevolo, il gesto gentile, il lavoro comune, il sorriso incoraggiante, la mano tesa. Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi.

Un'esortazione a trasformare i conflitti in armonia di pace, gli schieramenti in condivisione fraterna, l'individualismo in coinvolgimento da vivere in pienezza, da vivere in quell'ottica divina che non si riesce a percepire senza donarsi agli altri. Ecco l'eucarestia: fate questo in memoria di me ha detto Gesù, ma con la parola questo non ha inteso riferirsi a gesti formali, da istituzionalizzare in rituali e formule.

Il senso è ben altro: fate anche voi questo che io ho fatto: donate concretamente il vostro essere per la vita del mondo, ciascuno come può, secondo i propri talenti. Una eucarestia esistenziale, da celebrare ogni giorno nei rapporti con sorelle e fratelli: ecco la via per scoprire la verità e trovare la vita.

Ma gli ascoltatori di allora (come anche quelli oggi) tendono a ragionare per linee formali, guardando al di fuori di loro. Non capiscono che il discorso vale per ciascuno, o forse non vogliono capirlo, perché si tratta di un atteggiamento troppo impegnativo da accogliere e fare proprio. Meglio considerare Gesù uno stravagante imbonitore che parla di stregonerie non credibili. Come potrebbe fare queste cose? È forse un mago? Meglio lasciarlo perdere! Non capiscono che fare alimento della propria vita è l'unica occasione disponibile per raggiungere la pienezza umana, per vivere la vera vita.

Un alimento che dilata i limiti: amarsi è coinvolgere insieme le proprie vite, e come Gesù, uomo in pienezza, è tutt'uno con Dio e vive la vita divina, così tutti gli esseri umani che accolgono Cristo senza riserve (che accolgono fratelli e sorelle con tutti i loro limiti e difetti) si fanno tutt'uno con lui, vivendo nella pienezza del reciproco amore. Ecco il pane di vita eterna.

Eucarestia esistenziale, quindi, e non il semplice rito, che per quanto rivestito di profondo spirito devozionale rischia di rivelarsi sterile, se resta fine a se stesso. Senza tuttavia negare che il rito, a patto che sia vissuto come richiamo per andare oltre, possa avere funzione importante per risvegliare le energie, per facilitare l'orientamento sulla via di Cristo. Me ne accorgo quando sento l'affanno quotidiano riproporsi con insistenza, con la sua capacità di annacquare le migliori intenzioni.

Per questo, cosciente che il rituale sarebbe inutile se restasse isolato in se stesso, anzi sarebbe addirittura dannoso se non si traducesse concretamente in quell'eucarestia di vita quotidiana fatta di condivisione e servizio attivo ai fratelli, percepisco che la celebrazione rituale, nell'equilibrio complementare d'una medaglia a due facce, mi offre momenti privilegiati di richiamo dalle distrazioni, che sono sempre abilissime a portarmi fuori strada.

Così, come colui che mangia scegliendo pasti sobri e nutrienti, cadenzati secondo il bisogno per ricavarne l'energia necessaria da spendere poi al meglio nel quotidiano, cerco di alimentarmi frequentemente del simbolo eucaristico, perché lo sento strumento particolarmente adatto a ricaricare gli accumulatori di energia spirituale.

Credo che lasciarsi interpellare dal richiamo di Cristo che continua a farsi presente ogni volta che lo vogliamo incontrare, sia un ottimo trampolino di lancio per non stancarsi di celebrare la vita. Attraverso quell'eucarestia esistenziale che si nutre costantemente per farsi nutrimento agli altri.

sabato 25 agosto 2007

ITALIANI A VOLTE PIAGNONI

L’Organizzazione mondiale della sanità ha dato un voto è stilato una “classifica mondiale” per ciò che riguarda la salute-sanità nei vari paesi del mondo.

Il risultato è che l’Italia, per qualità ed efficienza, è al secondo posto nella graduatoria, superata solo dalla Francia. Non che esista da noi la perfezione (pensiamo ai casi di malasanità e alle liste di attesa), ma in complesso la nostra “sanità” è tra le più qualificate del mondo.

“Siamo undicesimi nella spesa per la salute, però nella classifica finale noi siamo al secondo posto e gli Usa al trentasettesimo. Loro sono bravissimi, sofisticati, ma nel rapporto costo benefici la nostra sanità funziona meglio. La loro mortalità infantile è al 7 per mille, la nostra al 4; peggiore i divario per mortalità materna: loro 14 e noi 5 per mille. Sono parametri base per misurare sistema sanitari e società. Vuole dire che in Italia gravidanze e prima infanzia sono più seguite, che maternità precoci, obesità e altri comportamenti a rischio sono più controllati” (Il Venerdì di Repubblica, 17 agosto 2007).

Basta guardarsi intorno, lottare per migliorare, ma anche non inseguire modelli di privatizzazione che purtroppo sono sempre più diffusi.

SICKO: IL NUOVO FILM DI MICHAEL MOORE

Il Venerdì di Repubblica del 17 agosto riporta una intervista al regista del film che è destinato a dare un altro scrollane ai cittadini americani:

“Faccio molta attenzione ai miei film ad attenermi ai fatti. Quando dico che ci sono nove milioni di bambini negli Usa che non hanno assistenza sanitaria è un fatto. Quando dico che ci sono più di cinquanta milioni di persone prive di copertura è un fatto. Quando dico che 18 mila persone l’anno muoiono perché non hanno l’assicurazione sanitaria è un fatto. La tesi che sarebbe opportuno eliminare le compagnie di assicurazione sanitaria privata e che la sanità non dovrebbe produrre profitti, quella, invece, è una mia opinione”.

Ecco il tanto decantato “modello americano” degli USA.

NON E’ GUERRA FREDDA, MA...

Con un po’ di saggezza e di memoria storica e politica si capisce che le dichiarazioni di Putin sui voli dei cacciabombardieri non ci riportano agli anni della guerra fredda.

Ma, per quanto determinate dall’orgoglio nazionalistico e dalle pressioni militari, le parole del presidente Putin dimostrano che la Russia non accetta il diktat Usa sullo scudo antimissile e le sue installazioni in Polonia e in Cecoslovacchia o in altre ex-repubbliche sovietiche.

E’ però evidente che il riarmo è già partito e la Russia e la Cina restano inattaccabili dagli USA sul piano militare. Russia e Cina rappresentano ormai, come le recenti manovre congiunte hanno evidenziato, due potenze che non cessano di rinnovare i loro immensi arsenali.

Questo è il dramma: anziché investire sulla ricerca, sulla salute, sulla lotta alla povertà le grandi potenze buttano montagne di denaro nell’industria delle armi, nelle strutture militari, in progetti di difesa e di aggressione.

Senza contare che le armi si costruiscono per usarle. La prepotenza USA, anche in questo campo, suscita aggressività e prepara altra violenza.

Se persino il portavoce della Casa Bianca Tony Snow lascia anche lui l’incarico… probabilmente qualcuno apre gli occhi sul delirio del presidente Usa che, in questo modo, “dopo il cervello perde anche la voce”.

CHAVEZ: "IO DITTATORE? SONO I VENEZUELANI CHE MI SCELGONO..."

Su l’Unità del 18 agosto è comparsa questa intervista che mi sembra interessante. Chavez è il presidente più discusso del mondo, ma è indubbio che in Venezuela qualcosa cambia per i più poveri e molti privilegi dei super-ricchi vengono intaccati. Nel continente latinoamericano è in atto un movimento che fino a pochi anni fa non era facilmente prevedibile. Chavez ne è certamente, con i suoi limiti, un protagonista.


Chavez: «Io dittatore? Sono i venezuelani che mi scelgono...»

di Sandra Amurri

«Un dittatore, militare golpista, l’ultimo caudillo sostenitore dei narco-guerriglieri colombiani». «Un sognatore illuminato» che sta costruendo il «socialismo del XXI secolo per restituire dignità al popolo venezuelano». Chi è Hugo Chavez? L’interrogativo oggi si pone ancora di più dopo l’annuncio dell’ex parà che propone al Parlamento le sue elezioni a vita.

Garcia Marquez nel ‘99 scrisse di aver viaggiato e conversato con piacere con due uomini opposti: uno a cui la sorte aveva offerto l’opportunità di salvare il Paese, l’altro, illusionista, che rischiava di passare alla storia come despota. Di certo, il Venezuela di Chavez, da qualsiasi parte lo si voglia vedere, è un Paese al centro di radicali cambiamenti.

Anche grazie alla disponibilità dell’ambasciatore Garante un mese fa abbiamo incontrato il presidente Chavez per un’intervista. Lo osserviamo mentre, tra la «sua» folla abbraccia una bimba dagli occhi scuri come la sua pelle: «Lei è indio come me, povera com’ero io», e sferra il primo affondo contro l’«Impero americano del signor George W. Bush che non tollera che un povero e indio sovverta un sistema in cui un pugno di famiglie sottraeva le ricchezze affamando il popolo. Per questo cercano di fermarmi, in tutti i modi, anche con un affondo mediatico internazionale senza precedenti».

Cosa direbbe oggi Marquez di lei?
«Sono trascorsi 8 anni da quando ebbi con Gabo quella conversazione meravigliosa. Eravamo all’inizio del cammino, sono certo che ora avrebbe la risposta».

Quale?
«Chavez è un soldato al servizio del suo popolo che si batte contro il capitalismo, il sistema economico più avaro che sia mai stato inventato, un disastro immane per l’umanità. La sola via possibile, per scampare all’estinzione, è il socialismo democratico, umanitario».

Una strada già percorsa...
«No. Si tratta di un socialismo nuovo, che coniuga uguaglianza e libertà. Costruire attraverso una democrazia partecipativa una società senza privilegi che non faccia coesistere estrema povertà ed estrema ricchezza, è una necessità imperiosa per tutti i venezuelani, per tutti i latinoamericani».

Gli facciamo notare che la «sua» rivoluzione suscita diffidenze anche a sinistra e la destra dice che eliminerà l’economia privata...
«Che la destra si contrapponga non sorprende mentre faccio fatica a capire certe posizioni a sinistra, credo che siano frutto di un’informazione manipolata. Noi stiamo facendo una rivoluzione socialista che non elimina la proprietà privata, ma un nuovo sistema pluralista, in cui l’interesse pubblico è prevalente»

Rivoluzione pacifica, fatto storicamente inedito.
«Il processo è rivoluzionario in quanto sovverte il sistema, ma il cambiamento avviene nel tempo con l’azione di governo».

Sì, ma lei resta un militare, insistiamo, e, la divisa, soprattutto in America Latina, evoca scenari inquietanti. Da non dimenticare, che è stato anche protagonista di un golpe.
«La divisa!», esclama sorridendo. «Sono entrato in accademia giovanissimo, ero povero e quello era il solo modo per poter giocare a baseball. Il vero golpe resta quello del 2002, quando, da presidente, sono stato sequestrato per 43 ore in un’isola. Il mondo deve sapere che è stato un golpe deciso da Bush, con l’obbiettivo di abbattere il governo bolivariano. A chiedere la mia liberazione è stata la gente...Il popolo ha risposto eroicamente, sopportando la mancanza di gas, la chiusura a singhiozzo dei supermercati, delle banche, ecc...».

I risultati elettorali, continuiamo, dicono che il popolo è con lei, ma la democrazia venezuelana presenta non poche singolarità: l’opposizione non esiste in parlamento, suo padre è governatore dello stato di Barinas, suo fratello è ministro...
«È stata una scelta dell’opposizione non presentarsi alle elezioni, di cui non sono responsabile. La famiglia ha avuto un ruolo importante nella mia formazione, mio fratello maggiore mi ha aiutato ad uscire da una visione politica nazionalistica. Guardi, dice mostrando un ciondolo appeso al collo, è l’immagine del Messia che prometteva una nuova era, apparteneva al mio bisnonno guerrigliero sgozzato in carcere. Lo porto sempre con me».

Il riferimento al carcere richiama Gramsci. Dicono che lei lo utilizzerebbe per dare uno smalto liberal alla sua rivoluzione...
«Mi pare che il pensiero di Gramsci sia al centro della riflessione culturale e politica dei Paesi dell America Latina e non soltanto. L’idea che la politica non possa basarsi esclusivamente sui rapporti di forza e sulla conquista dello Stato, ma sul consenso e sull’egemonia, è un idea ancor oggi rivoluzionaria. Il nostro socialismo, ispirato al disegno di Simon Bolivar, ha bisogno del grande insegnamento di Gramsci».

Democrazia, egemonia, popolo. Anche Hitler e Mussolini potevano contare sul consenso popolare.
«Hoi!» sbuffa. «In Venezuela si respira forse aria di dittatura? Non vi è libertà di espressione e di informazione? Se così fosse Patrizia Poleo non potrebbe scrivere sul El Nuevo Pais, periodico di opposizione diretto da suo padre la menzogna che Chavez ha fatto liberare Ingrid Betancourt perché amico delle Farc. In questo Paese vengono violati i diritti umani? Qui non esiste Guantanamo».

Chavez, Chavez, sempre Chavez: già si sfiora il culto della personalità, e, sullo sfondo c’è la riforma elettorale che porterebbe al prolungamento del suo mandato, incalziamo.
«La personificazione è un po’ il rischio di tutte le rivoluzioni, forse, in questa prima fase è necessario. Il Venezuela del futuro non sarà Chavez, ma ciò che Chavez sarà riuscito a fare, non certo da solo. La democrazia è salda: sarò rieletto se gli elettori lo vorranno».

Presidente, quanto a nemici non ne è sprovvisto, le capita mai di avere paura?
«L’ho avuta molte volte prima della ribellione. Venivo assalito da incubi. Poi tutto si è dissolto. Un giorno Fidel mi ha detto: Hugo, sai cos’è che mi è più mancato? Uscire da solo, fermarmi all’angolo di una strada a guardare la gente passare».

Ecco, Castro...
«Si lo so bene, la vicinanza con Cuba un’altra delle mie colpe. Fidel lo amo come un padre, Morales come un fratello».

E Lula?
«Anche lui è parte della grande famiglia dell’America Latina, con Kirchner...costruiremo la Ue del continente latino americano...».

Anche grazie agli immensi giacimenti di petrolio...
«Il petrolio, a differenza di ieri, oggi serve per abbattere la povertà e costruire l’integrazione del Continente latinoamericano: un tempo decidevano tutto le multinazionali, adesso gli accordi tra gli Stati».

giovedì 23 agosto 2007

CORAGGIO O SFRONTATEZZA?

Dopo la solenne celebrazione eucaristica del meeting di Comunione e Liberazione il cardinale Bertone, segretario di stato vaticano, ha lanciato un appello rispetto all’obbligo dei cittadini di pagare le tasse.

Lo ha fatto con tanto di citazioni bibliche con aria tipicamente magisteriale.

Ma non gli sarà venuto in mente che proprio la chiesa cattolica evade alla grande, gode di privilegi e non paga l’ICI?

Come si fa a enunciare dei principi con tanta solennità e poi trasgredirli tutti i giorni pensando che obblighi e doveri riguardino solo gli altri?

DI CHE DISCUTIAMO?

Basta uno sproloquio di Bossi sullo sciopero fiscale, da lasciare cadere senza commento, e subito è dibattito nazionale.

Basta un’uscita del cardinal Bertone sul dovere di pagare le tasse (quelle, per intenderci, che la chiesa cattolica non paga) e tutti vanno a gara nel tirare la chiesa dalla propria parte.

In questo paese dalla politica clericale anche la più banale dichiarazione di un prelato diventa argomento da prima pagina.

Qui da noi un po’ di clericalismo l’hanno succhiato con il latte materno anche i più laici dei laici.

Questo voleva segnalarci Eugenio Scalari quando sosteneva, poche settimane fa, che non siamo e non saremo mai un paese normale.

Forse si può togliere quel “mai”, ma la guarigione dal clericalismo è lenta, troppo lenta.

ACQUE AGITATE TRA AMNESTY E VATICANO

Niente di nuovo sotto il sole. Il vaticano mette un “principio” prima dei diritti delle donne stuprate e Amnesty, rompendo gli indugi, dice che non ci sta più. Così per il vaticano si presenta un’altra sconfitta che brucia.

Orazio La Rocca su Repubblica di mercoledì 15 agosto scrive:

“ ‘Sì al diritto all’aborto per le donne vittime di stupro’, annuncia Amnesty International. Ma la Santa Sede risponde con un secco ‘no’ perché ‘ad un crimine, qual è lo stupro, non si può rispondere con un altro crimine come è l’interruzione volontaria di gravidanza’.

Sull’aborto è ormai guerra aperta tra Vaticano e Amnesty International, l’organizzazione fondata nel 1961 dall’inglese Peter Benenson - un anglicano convertito al cattolicesimo – per la difesa dei diritti umani.

Dopo i primi segnali preannunciati nei giorni scorsi dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio di Giustizia e pace, secondo il quale la componente cattolica di Amnesty sarebbe pronta a ritirale l’appoggio all’organizzazione per la sua politica ‘eccessivamente’ filo abortisca, ieri è arrivata la risposta - anticipata dal quotidiano inglese Independent - che ha annunciato che, dopo due anni di riflessione, Amnesy darà ‘il suo sostegno al diritto di aborto nel caso di donne rimaste incinte in seguito a uno stupro’.

La decisione, già pianificato lo scorso mese di aprile dal comitato esecutivo di Amnesty, verrà ufficializzata dall’organizzazione al congresso di ottobre in programma in Messico. Un orientamento in aperto contrasto con la Chiesa cattolica.

Nell’anticipazione dell’Independent, il Vaticano viene persino additato come possibile corresponsabile di massacri come quelli consumati, ad esempio, in Darfur, dove oltre agli eccidi perpetrati per motivi etnici, migliaia di donne negli anni passati sono state massacrate e stuprate.

Di fronte a violenze simili, per Amnesty le donne incinte ‘hanno il diritto ad abortire e nel congresso di ottobre sarà sancito ufficialmente’, malgrado l’opposizione della Santa Sede già resa nota - si legge sul giornale inglese – dal cardinale Martino che due settimane fa aveva avvertito che ‘se Amnesty International persiste in questa posizione, individui e organizzazioni cattoliche devono togliere il sostegno perché nel promuovere il diritto all’aborto, Amnesty ha tradito la sua missione.”

Parole gravi, quelle del vaticano, che ancora una volta dimostra di seguire una strada che è fuori del mondo reale degli uomini e soprattutto delle donne.

LIBRI - LIBRI - LIBRI

AA.VV. Non contristate lo Spirito. Prospettive di genere e teologia: qualcosa è cambiato?, Gabrielli Editori, Negarine di San Pietro in Cariano 2007, pagg. 240, € 15,00.

Questo prezioso volume, a cura di Marinella Peroni, che riporta gli studi di alcune delle più note teologhe femministe, evidenzia sul lungo percorso già compiuto negli ultimi 50 anni e lascia intravedere quanto cammino rimane da compiere.

In queste pagine la riflessione teologica e la prospettiva di genere si intrecciano: una “operazione” ancora troppo rara e speso addirittura sconosciuta.

Chi legge queste pagine si trova difronte ad una raccolta di saggi di alto livello che, attraverso le differenze, dimostrano profonda coerenza e unitarietà.

PER EDUCATORI E GENITORI

In queste ultime settimane d’estate il professor Galimberti ha pubblicato su Repubblica una serie di studi sull’uso delle droghe e problemi connessi.

Lo ricordo e lo segnalo sperando che questi studi non siano sfuggiti all’attenzione di genitori, educatori, insegnanti, volontari e operatori.

Occorre continuamente aggiornare e migliorare le nostre sempre troppo modeste conoscenze.


martedì 21 agosto 2007

UNA BELLA PREDICA INCONSUETA

Su La Stampa del 15 agosto leggo una notizia che rallegra per il coraggio di questo mio confratello.

Finché parli del sesso degli angeli, di Maria vergine o extravergine e poi fai svolazzi celestiali sulla “famiglia”, nessuno dice niente e va bene a tutti. Quando parli delle responsabilità vere e concrete della vita di ogni giorno, allora ti dicono che vai fuori del seminato.

Ecco la cronaca firmata (R.E.S.):

“Credeva che così facendo avrebbe fatto capire più facilmente il Vangelo ai suoi fedeli. Don Claudio Miglioranza, sacerdote della parrocchia di San Giacomo a Castelfranco Veneto, durante l’omelia di domenica scorsa, si è rifatto alla cronaca e ha messo sott’accusa Valentino Rossi: ‘Ha la faccia da bravo ragazzo, ma ha evasoli fisco per 60 milioni di euro’.

Secondo il quotidiano “La Tribuna” di Treviso, i parrocchiani presenti hanno a lungo mormorato, ma ciò non è bastato a zittire don Claudio, che anzi, ha rincarato la dose sul centauro. ‘Non vorrete mica credere al Dottore, che di fronte a una cartella esattoriale da 60 milioni di euro se la cava con un ‘Ieri fantasma nudo con la Canalis, oggi destinatario di accertamenti megalattici, domani astronauta su Marte?’.

Il sacerdote ha poi continuato la sua omelia sui moderni peccati con altri esempi di cronaca sportiva, spaziando dal calcio al ciclismo. Sotto tiro il Tour de France e Calciopoli.

Sull’indimenticato Pantani, invece, ha esordito così: ‘Ma come si può definire uno che è morto a quel modo? E che vogliamo dire del calcio malato, salvato dal sollevamento delle tifoserie?’.

L’insolita predica, volta a convincere i fedeli a distinguere il giusto dall’ingiusto, non è piaciuta a tutti. Alcuni parrocchiani hanno preso carta e penna e si sono rivolti con lettera la vescovo della diocesi di Treviso, Andrea Bruno Mazzocato.

Il sacerdote di Castelfranco ora si difende:’ Ho soltanto cercato di spiegare il Vangelo con esempi più attuali. Nulla di più. Ho usato una parabola dei nostri tempi per chiarire il messaggio di Cristo’.”

LEI NON SA CHI SONO IO

Repubblica di venerdì 17 agosto riporta una fatto singolare e, purtroppo, non esemplare.

Sindaco ecologista a palazzo, ma guidatore pericoloso e irascibile in vacanza
E’ stata una notte poco onorevole per il primo cittadino di Cardito, paese dell’entroterra napoletano, Giuseppe Barra, dell’Udeur.

Il sindaco, sottoposto a controlli dai carabinieri sulla costa laziale di Scauri e risultato positivo al test dell’etilometro, è andato in escandescenze durante i controlli ed è stato fermato dai militari con l’accusa di resistenza ed ingiurie a pubblico ufficiale.

‘Lei non sa chi sono io, chiamerò anche il ministro della Giustizia Mastella. State commettendo degli abusi’, avrebbe detto il sindaco.

Condendo con toni ed espressioni fin troppo accese la sua difesa. Una notte trascorsa quasi completamente tra la stazione dell’Arma del comune di Minturno e la compagnia di Formia.

Ma la ricostruzione della serata è affidata a poche indiscrezioni. Mentre la famiglia del sindaco Barra, conosciuta e stimata in paese, non risulta rintracciabile.

Barra, a capo di una coalizione formata da Udeur, Sdi, Italia dei valori e Italia di mezzo, si era distinto in particolare per alcune mobilitazioni in favore del disinquinamento del mare”.

C’è bisogno di buon esempio… Basta effettuare i controlli ed emerge una realtà sconcertante.

QUESTA E’ INTOLLERABILE

Il campione degli evasori di cui tanto si parla in questi giorni ha pensato di usare la televisione per “mandare un messaggio alla nazione”.

Su Repubblica del 15 agosto, tra la disattenzione generale, si domanda a Valentino Rossi: “E se ogni evasore fiscale importante mandasse la sua cassetta per discolparsi, per invocare simpatia e innocenza? E perché non dare accesso anche a quelli sconosciuti, creando magari una rubrica: l’angolo dell’evasione?”.

I potenti troppo facilmente trovano le porte aperte e le corsie differenziate.

BARBIE AVVELENATE

In una estate piena di cocaina, alcol, eroina ed ecstasi… anche le bambole "si sono intossicate" con vernici al piombo e con magneti pericolosi. Forse torneremo a quelle belle bambole fatte in casa? O forse impareremo di nuovo a fare le cose, tutte le cose, con calma e con prudenza e così anche le batterie Nokia non si surriscalderanno?

domenica 19 agosto 2007

GUARDA UN PO'...

1) Stupirsi che Prodi abbia detto che occorre dialogare anche con Hamas è parte di quel diktat USA secondo il quale ci sono i buoni e i cattivi. Aprire il dialogo non significa riconoscere il terrorismo, né venire a patto con esso. Si tratta di prendere atto che Hamas è uscito vincitore dalle libere elezioni politiche e che metterlo in un angolo significa acuire la contrapposizione e, tutto sommato, favorire indirettamente il terrorismo.


2) Sui Rom si sveglia la destra che non ha mai mosso un dito, se non per emarginarli, ignorarli, denigrarli. Che ipocrisia… E’ tempo di attuare le leggi che già esistono.


3) Qualcuno che ragiona c’è: sia pure in ritardo. Anche Karl Rove, il primo consigliere di Bush si dimette. Ovviamente per motivi privati!


4) Caro Presidente Prodi. Ho tantissima stima per Lei come uomo e come politico. Però leggo su Repubblica di martedì 14 agosto che lei guadagna 18.900 € ogni mese. La mia pensione mensile raggiunge quella cifra in 34 mesi. Un consiglio: si riduca lo stipendio del 50%. Sarebbe una bella lezione per tutto il Paese.


5) Il Vaticano è pieno di fantasia, non sul piano liturgico o teologico, ma sul piano organizzativo e commerciale. Leggo su Repubblica del 14 agosto: “Decollano i pellegrinaggi italiani nel mondo. Decollano nel senso vero del termine, perché il prossimo anno da Roma - e forse anche da Milano - sarà possibile raggiungere i più importanti santuari europei con voli ad hoc curati da hostess e personale specializzato in viaggi a carattere sacro, e tramite aerei contrassegnati da loghi religiosi e arredi personalizzati con la scritta ‘Cerco il Tuo volto, Signore’. L’iniziativa, che in seguito sarà allargata anche a tutte le mete religiose extraeuropee, è stata varata - con il necessario placet del Vaticano - grazie ad un accordo siglato dalla Mistral Air, la compagnia aerea fondata dall’attore Bud Spencer e ora di proprietà delle Poste Italiane, e dall’Orp, l’Opera Romana Pellegrinaggi, l’ente responsabile del movimento dei pellegrinaggi per conto del Vicariato e della Santa Sede di cui è presidente il cardinal vicario Camillo Ruini, coadiuvato da Monsignor Libero Andreatta, vice presidente Orp. L’esordio è in programma il 27 agosto con un volo andata e ritorno Roma Fiumicino/Lourdes. E sarà guidato proprio dal cardinal Ruini che illustrerà ad una ristretta cerchia di selezionatissimi ospiti ‘lo spirito che vuole, principalmente, essere una risposta alla accresciuta domanda di pellegrinaggi verso i più importanti luoghi di fede come Lourdes in Francia, ma anche Terra Santa, Fatima in Portogallo, Santiago di Compostela in Spagna, Madonna di Guadalupe in Messico, Madonna di Czestochowa in Polonia”.


6) Di ritorno da Brindisi ho il cuore ancora bollente di commozione. Ho fatto un sogno durante la celebrazione del matrimonio di Giuseppe e Giacomo. Ho segnato che nasce una comunità: c’è un gruppo di persone, c’è un presbitero pieno di fede e esperienza. Mi dicono che a settembre il sogno muove i primi passi verso la realtà…


7) Questo mese d’agosto, con le giornate piene di lavoro silenzioso, di contatti con le persone più diverse, di dialoghi, di incontri, di studi. E poi, nel mio cuore, una valanga di sogni, di progetti… con un corpo al quale dovrò concedere molto più riposo. E poi… la fecondità della preghiera e la gioia del gruppo biblico settimanale. Io, innamorato delle cose piccole, sento che, nel lavoro quotidiano perseverante, c’è grande fecondità.

P R E G H I E R A

In silenzio guardo, sento, penso, prego.
Tutto è movimento, ora lento, ora convulso.
Strade piene di macchine in rientro
in questa notte che tutto avvolge.

Vedo e sento un mondo di cose, di bagagli,
di motori, di luci e di rumori.
Un mondo di donne e di uomini
che cercano, tutti, una casa accogliente.

Mistero insondabile sei Tu, Dio eterno.
Mistero insondabile è tutto questo mondo:
che cosa c’è sotto tutto questo intreccio
di bellezza e bontà, di ferocia e violenza.

E poi… noi uomini e donne di ieri e di oggi,
figli delle stelle e, insieme, figli e figlie tuoi,
leggeri come una piuma e caduchi come l’erba
in mezzo a tante realtà pesanti come macigni.

Ho piantato nel mio cuore un albero:
è la fiducia con cui ogni giorno guardo a Te,
ruscello inesauribile che bagna le mie radici;
senza di Te sarei desertificato dall’arsura.

Come un padre ha pietà per i suoi figli
così il Signore ha pietà di quanti Lo amano.
Sì, Egli conosce di che pasta siamo fatti,
Egli si ricorda che tutti siamo polvere.

Come l’erba sono i giorni dell’uomo,
come il fiore del campo egli appassisce.
Lo sfiora il vento ed egli scompare.
Il suo posto più non si trova” (Salmo 105).

E Tu, Dio incompreso e spesso dimenticato,
sei ancora lì che Ti prendi cura di noi,
poti la Tua vigna, la innaffi e attendi…
come facesti dalla prima aurora della creazione.

Ed allora il mio sguardo si rasserena,
il mio cuore si nutre di speranza.
Sento intorno sapore di latte e di miele,
credo che tutto è abbracciato dal Tuo amore.

Nel tormentato cantiere della liberazione
Tu sei segretamente presente, o Dio di Gesù.
Le nostre imbarcazioni sono sempre vacillanti,
ma vanno verso di Te, porto sicuro di pace.

Oggi metto davanti a Te la mia preghiera,
affido alle Tue mani i pochi semi che ho sparso,
getto alle mie spalle tutti gli errori commessi
e, come un bimbo, mi ributto tra le Tue braccia.

venerdì 17 agosto 2007

PER UN CONCILIO ALTRO

La generazione che visse la stagione conciliare operò per promuovere con urgenza alcune riforme ritenute essenziali per il bene della fede e della stessa chiesa.

Fu una scommessa consapevole, anche se contrassegnata da alcune ingenuità.

Era chiaro già allora che alcune posizioni e strutture, presentate dal magistero come perenni ed intangibili nella tradizione cattolica, erano invece costruzioni storiche (il papato, il sacerdozio, il celibato obbligatorio, l’esclusione delle donne dal ministero).

L’eresia ecclesiocentrica che trovò crescente spazio dal Dictatus Papae (1075) fino al Concilio Vaticano I ebbe un reale correttivo nel Concilio Vaticano II.

Ma se lo "spirito" del Concilio fu "liberale" ed evangelico, i testi conciliari rappresentarono già un "compromesso delle formule" che mise le basi per la susseguente lettura ed interpretazione "continuista" e tradizionalistica.

Andrebbero analizzate con maggiore coraggio le ambiguità che il Concilio non ha voluto o potuto risolvere sul terreno dell’ecclesiologia. Sono stati gettati dei semi, ma si è accuratamente "salvata" un’ecclesiologia piramidale che, a livello teologico, non è stata superata.

In questi anni troppo poco si è insistito sui limiti del Concilio, con il rischio di fare dei documenti conciliari la magna charta del rinnovamento evangelico della Chiesa. La citazione del Concilio, fatta e ripetuta in tutte le sedi ed in tutte le direzioni è diventata un rituale spesso privo di un significato realmente innovativo. Sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI fanno della citazione del Concilio una vuota formalità. Se Paolo VI fu il primo imbrigliatore del Concilio, i pontefici successivi hanno contribuito a farne un monumento di pietra da visitare e riverire, una mummia da rispettare purchè resti imbalsamata.

Un’altra direzione

A livello ufficiale, di fatto la chiesa cattolica ha chiuso con il Concilio. Proprio per questo oggi ci troviamo a dover fare della difesa del Concilio uno dei punti di forza della nostra azione ecclesiale, teologica e pastorale.

"Purchè si sia consapevoli che occorre puntare molto più in là. Altrimenti la "squadra" corre il rischio di giocare troppo in difesa. Infatti siamo diventati consapevoli che "l’istituzione chiesa è sottomessa alla tentazione di qualsiasi istituzione: lavorare per sé stessa e non nella logica della propria vocazione" (Ch. Duquoc).

Del Concilio restano, in questi papati sterminatori della libertà di ricerca e oppressori delle coscienze, i pubblici pentimenti per i crimini del passato, ma queste denunce non si sono tradotte in conversione per cui l’istituzione ecclesiastica continua le sue pratiche di espulsione: "Così aumenta il numero di coloro che, privi della riammissione alla "cittadinanza" spirituale, diventano stranieri nella chiesa (Alberto Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna, Einaudi 2004, pag. 108). In Europa sono ormai la maggioranza dei battezzati.

La chiesa ufficiale continua sul doppio binario del potere e dell’immagine. I riti pagani che si sono verificati al funerale di papa Voytila e all’elezione del nuovo papa evidenziano questa duplice idolatria. Si tratta qui di esaminare le dinamiche strutturali dell’istituzione cattolica che è cosa diversa dal giudizio sulle persone che, in ultima analisi, non è di nostra competenza. Serve a poco (anzi è deviante rispetto all’analisi della realtà) disquisire sulle intenzioni profonde del cuore di Hitler. E’ essenziale conoscere i fatti, le decisioni, le manovre. Questo è il giudizio che ci compete. Infatti, le decisioni degli ultimi due papati parlano di papolatria e di dittatura vaticana, di eclisse dei vescovi e delle chiese locali.

Dal consultivo al deliberativo

Dunque…..un nuovo Concilio? Credo, in verità, che sarebbero maturi i tempi per un Concilio di tutte le chiese cristiane. Tali sono le "sfide" che il mondo di oggi rivolge al cristianesimo che a me sembrano non più procrastinabili una riflessione e un'azione comune tra tutte le chiese cristiane. In attesa che maturi questo "evento", penso che una nuova coscienza ecclesiale esiga non solo un altro Concilio, ma soprattutto un Concilio "altro".

Voglio dire che ormai è teologicamente maturo il tempo per una rappresentanza diversa. Il solo episcopato non può rappresentare adeguatamente una chiesa. Oggi le donne, i preti sposati, i gay e le lesbiche credenti, i divorziati che vivono le seconde nozze, i teologi e le teologhe, le comunità cristiane di base, i cristiani attivi nel volontariato, o nell’impegno culturale, amministrativo e politico, nei movimenti della pace, nel femminismo, nelle lotte contro l’ecocidio e il patriarcato rappresentano un patrimonio di riflessione e azione la cui voce è indispensabile per ripensare il senso della presenza cristiana nel mondo.

Tutte queste "presenze" debbono avere voce attiva, deliberativa e non solo consultiva.

Oggi, insomma, un Concilio comporterebbe a livello teologico una presa d’atto della necessità di superare il modello precedente.

Con i "padri conciliari" dovrebbero sedere le madri, i fratelli e le sorelle "conciliari".

Senza questa rappresentanza reale del popolo di Dio, un Concilio clericale e patriarcale partirebbe con il piede sbagliato.

Un altro Concilio, se non sarà un Concilio "altro", sarà privo di vera autorevolezza evangelica.
Spero che questo "oltrepassamento" avvenga perché, senza questa coralità, la nostra chiesa potrebbe correre il rischio di imprigionarsi in un ghetto o di diventare un museo o un mausoleo. La mia fiducia sta nel fatto che il "vento soffia…..inarrestabile, irresistibile…..".

Sinodalità e conciliarità comportano la ripresa di contatto con le origini cristiane, quando non si era ancora costruita la gerarchia e vigeva la prassi dei ministeri e della collegialità.

Se non si riaccendono nelle comunità cristiane nuove prospettive e nuove pratiche di partecipazione attiva alle decisioni ecclesiali, sarà compromesso un eventuale prossimo Concilio perché, calato dall’alto, sarà prigioniero delle solite "gabbie dogmatiche". Senza un nuovo soffio di libertà, tradotto in percorsi teologici e pastorali veramente innovativi, un nuovo Concilio potrebbe risultare una operazione di vertici, un aggiornamento operato soprattutto per sopravvivere.

Per una spiritualità del dialogo

Sul terreno esegetico, ermeneutico e storico in questo periodo sono fioriti studi di estrema rilevanza, ma non possiamo non constatare che nelle istanze gerarchiche si è diffuso un sistematico sospetto verso la libertà di ricerca, di idee, di espressione.

Non credo che basti il cambio del timoniere romano per far crescere un clima nuovo nella nostra chiesa.

Occorre, oltre alla svolta ermeneutica della teologia, anche una spiritualità del dialogo che tenga in tensione libertà e unità della fede. A me sembra decisivo praticare insieme comunione essenziale e libertà reale. E’ fondamentale restare "dentro" questa gestazione evangelica, sia pure con le più audaci e umili forme di dissenso.

Certo, il regno di Dio non è limitato alle mappe ecclesiali e la chiesa non può intendersi solo come lo spazio riconosciuto dalle gerarchie. Non è più l’ortodossia il criterio di identificazione del cristiano, ma mai come oggi, anche dentro la chiesa, abbiamo bisogno di ascoltare umilmente, di resisterci a viso aperto, di parlarci anche con durezza, di praticare sentieri pastorali diversi, di analizzare lucidamente il ruolo di certe istituzioni: tutto questo senza spirito di scomunica, continuando a pregare gli uni per gli altri. Altrimenti si separa l’esercizio della libertà cristiana dallo spirito di comunione. Questo sarebbe un divorzio negativo destinato a impoverire la nostra fede.

Ho sempre pregato insistentemente Dio consapevole di quanto sia impresa difficile tenere insieme libertà evangelica e spirito-prassi di comunione. Esiste, infatti, il pericolo di enfatizzare talmente le esigenze della "comunione" ecclesiale da sopprimere del tutto o ridurre al minimo l’esercizio della libertà evangelica o da sottovalutare le esigenze della comunione cristiana "essenziale" nel nome della libertà evangelica.

Non penso che si tratti di usare il bilancino, ma di portare ben radicate in noi le due istanze, senza cercarne una composizione equilibrata, una formula valida per ogni tempo, ma piuttosto accettando un percorso mosso, conflittuale e accidentato, sempre imprevedibile, costantemente aperto all’azione trasformatrice di Dio. Dentro la nostra vita personale e comunitaria, sia la libertà evangelica, sia la comunione debbono sempre ripensarsi.

Oggi, mentre si invoca molto spesso a sproposito la comunione ecclesiale per mantenere lo status quo nell’istituzione ecclesiastica e per continuare a praticare la sottomissione delle coscienze e vietare delle pratiche pastorali innovative, occorre sottolineare vigorosamente che non si favorisce la comunione nella fede se si riduce la libertà dei figli e delle figlie di Dio.

A questa spiritualità non dovrebbe mancare l’audacia di esperimentare, il coraggio di vivere la comunità come experimentum, come luogo dove si parlano nuovi linguaggi, si celebrano nuove liturgie, si dà spazio a nuovi soggetti nella consapevolezza che "attualizzare la tradizione significa proporre nuove interpretazioni della Scrittura, dei simboli di fede, delle formule dogmatiche". Come la fede e la vita esigono a gran voce.

Sentieri possibili verso il futuro

Un primo passo decisivo consiste,a mio avviso,nella attenta e positiva considerazione del dimagrimento dell’esperienza cristiana, evidente oggi almeno a livello istituzionale.Questo fatto,massiccio e ben visibile,dello svuotamento di molte chiese rappresenta l’occasione per aprire gli occhi sulla qualità del nostro vissuto personale e comunitario.

Noi siamo diventati, come chiesa cattolica ufficiale, una provincia dell’impero occidentale, anzi parte integrante di esso e l’esperienza cristiana si trova "in una situazione di cattività istituzionale"(Tissa Balasuriya).Gli uomini "di chiesa" sono "uomini del sistema". Le eccezioni sono rarissime.

Fuori dalla dipendenza

La conciliarità non si limita solo a rifiutare la dittatura vaticana. La "comunione di fede" si traduce in comunione ecclesiale non perché una gerarchia ci legittima, ma perché una comunità ci riconosce e ci accoglie. Si tratta, per esempio, di capire che la legittimità di un ministero non dipende dal riconoscimento del potere gerarchico, ma dal fatto che una o più comunità riconoscano in questa donna o in questo uomo il dono di Dio. Per quanto mi riguarda,non ho mai pensato di interrompere l’esercizio del ministero dopo il provvedimento vaticano nei miei confronti . Esso, infatti, essendo stato deciso senza ascoltare né me né le comunità in cui svolgo il mio servizio, è completamente invalido per la stessa legge ecclesiastica,che pure è interna ad un codice ampiamente disumano.

Occorre quindi un profondo ripensamento della teologia della comunione, in una prospettiva di liberazione delle persone dall’ideologia della dipendenza dall’istanza gerarchica, peraltro totalmente assente nella prassi di Gesù di Nazareth. Senza questa elaborazione ci troviamo in piena eclisse del popolo di Dio e tutti i ministri sono ridotti a caporali di giornata. Il teologo cattolico Yves Congar scriveva che questo sistema è "totalitario, poliziesco e cretino". E non era né un estremista né un eretico.

Un grande biblista e teologo cattolico parla di alcuni processi che, già nel III secolo, hanno determinato la relegazione dei laici in un ruolo sempre più passivo: "Un’immagine eloquente, che esprime tale situazione, la troviamo nelle Pseudo-Clementine, un romanzo cristiano - il primo romanzo cristiano in assoluto – risalente alla prima metà del III secolo. In quest’opera Pietro dà a Clemente, suo successore (!), indicazioni sull’esercizio del proprio ministero e sui doveri dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e dei fedeli. La chiesa è paragonata ad una barca in cui il timoniere è Cristo. Il vescovo è il secondo timoniere, i presbiteri sono i marinai, i diaconi i capi della ciurma, i catechisti sono gli ufficiali contabili. La "massa dei fratelli", cioè i fedeli sono i passeggeri. Essi non conducono la nave, ma sono trasportati e affidati, in tutto e per tutto, alle capacità o incapacità dell’equipaggio: questa è l’immagine della chiesa clericale mantenutasi, attraverso i secoli, fino ad oggi. L’immagine è completata dalla seguente raccomandazione: "I passeggeri siano seduti ai loro posti e non si muovano, affinché non provochino, con i loro spostamenti disordinati, pericolosi movimenti e sbandamenti della nave (H. HAAG, Da Gesù al sacerdozio, Edizioni Claudiana, Torino 2001, pag. 121).

Ora è successo che nei secoli il secondo timoniere ha preso il posto del primo che occorre ricollocare al suo posto. Si noti che io non intendo un appiattimento ecclesiologico, una concezione facilona del sacerdozio universale con l’eliminazione del ministero ordinato; intendo piuttosto affermare la fondamentale "laicità " di tutto il popolo di Dio e, quindi, la declericalizzazione di ogni ministero ecclesiale. Ho elaborato più compiutamente il mio pensiero su questo punto nel mio scritto "Perché resto" (Viottoli 2004).

Siamo sempre esposti al rischio di rimuovere il Gesù della storia per fabbricarcene uno dogmatico, funzionale agli interessi dell’istituzione o ai compromessi personali. L’allontanamento da Gesù è avvenuto sia divinizzandolo sia sacerdotalizzandolo. Ma Gesù "si distingueva per il suo ruolo di mediatore storico della definitiva regalità divina di Dio Padre e per uno specifico rapporto funzionale con lui. Comunque è certo che non ha mai detto di essere il figlio di Dio trascendente; è la chiesa delle origini che ha tematizzato e sviluppato tale titolo glorioso fino ad arricchirlo di contenuti sorprendenti".

Né ha mai fatto di sé un sacerdote. Questo profeta della Galilea che per noi cristiani è l’icona di Dio, la sua epifania nella nostra carne, tanto che lo chiamiamo "figlio di Dio" per designare la sua intimità con Dio e la missione particolare che il Signore gli ha affidato, ha chiaramente distinto tra apparato religioso e fede.

Quest’uomo, che ha fatto sua la causa di Dio con tutto il cuore, che ha cercato ogni giorno di convertirsi alla volontà del Padre, che ha pregato per non indietreggiare di fronte alle prove della vita, è stato un laico: "Gesù nacque come ebreo laico, condusse il suo ministero come ebreo laico e morì come ebreo laico…Egli era un laico religiosamente impegnato che sembrava minacciare il potere di un gruppo ristretto di sacerdoti. Questo contribuì allo scontro finale in Gerusalemme…Ho intenzionalmente sottolineato la condizione laicale di Gesù perché i cristiani sono molto assuefatti all’immagine di Gesù sacerdote o grande sommo sacerdote". Sarebbe bene che non lo dimenticassimo mai.

Il nodo economico

Resta, per non rifugiarsi nell'astrettezza ma operare in vista di un percorso realmente possibile, un nodo che occorre affrontare.

Finchè i preti, i teologi, le teologhe e molti altri operatori pastorali legheranno il loro sostentamento economico alla chiesa con la necessaria approvazione della gerarchia, le libertà di pensiero, di ricerca teologica e di prassi pastorale saranno una illusione o un sogno destinato a rimanere tale. La paura di perdere lo stipendio (e quindi il sostentamento) costringe molti preti e teologi ad una tragica "prudenza", all’autocensura, alla sostanziale rinuncia, alla libertà umana ed evangelica.

Per molti non c’è altra minestra per tutta la vita, se non hanno potuto, voluto e saputo trovarsi una autonomia economica dall’istituzione ufficiale che, specialmente in questi ultimi decenni, non tollera voci dissonanti. Si tratta di un impegno difficile che per me, con l’aiuto della mia comunità cristiana di base e con parecchia fatica ed altrettanta gioia, è stato possibile. Invito a non dipendere economicamente dal riconoscimento gerarchico che, il più delle volte, costringe a vivere come altoparlanti, come diffusori della "voce del padrone" ecclesiastico.

Per non concludere

I giochi non sono chiusi perché Dio è vivo ed ha operato in Gesù la resurrezione.

Ritorniamo a Gesù di Nazareth, testimone di Dio. Egli ci guida verso Dio, verso i poveri, verso la speranza: "è il rumore di fondo delle chiese che testimonia che Gesù è il nervo scoperto. Limitando ancora una volta l’osservazione alla chiesa cattolica, più di un indizio sembra dire che la persona di Gesù e la sua storia hanno un significato relativo…". La chiesa spesso è una realtà che "lascia da parte la vita di Gesù, il suo incedere. Gesù diventa una premessa essenziale, facilmente scontata e sulla quale nessuno…sembra avere da dire granchè. Invece è proprio su Gesù, mi pare, che si gioca l’essenziale, sia per capire il cristianesimo nella sua storia e nel suo assetto, che per viverlo" (Alberto Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna, pag. 144).

Gesù continuerà ad essere per noi colui che ci annuncia un Dio più grande del nostro cuore, un cammino di liberazione e di radicale fiducia nella misteriosa presenza della sorgente della vita che non ha ceduto a nessuna religione, a nessuna istituzione il monopolio della salvezza. Liberare Gesù, anzi liberare Dio dal cristianesimo imperialista, significa credere che "il problema non è del cristianesimo tout court, ma della religione" (Josè Maria Vigil), cioè della sua versione storica occidentale che si è posta come egemone. Gli "aggiornamenti" e i ritocchi non fanno che verniciare l’esistente e prolungare l’agonia.
Da: Viottoli n°14, 2005, pag. 46-49

STUDENTI, A CASA!

Ricevo e volentieri ospito


Studenti, a casa!


FONDAMENTALISTI – Sono 2,4 milioni i bambini americani istruiti a casa dai genitori. Motivo? Tenere fuori dalla porta Darwin e le sue teorie pericolose. Ma soprattutto il sesso, le droghe e la televisione

di: Sally Williams


Sulla città di Abilene sta scendendo la notte. Ma per i ragazzi della famiglia Ice la giornata di studio non è ancora finita. Per Thomas, 16 anni, Katee, 14, Jon David ed Elizabeth, 6, andare a scuola equivale a stare a casa.

I loro genitori hanno scelto di istruirli tra le mura domestiche: niente cattedre né aule, ma un lustro tavolo da pranzo gremito di libri e un’insegnante. Anzi due.

La madre Cynthia, 44 anni, e Gesù, altrettanto vicino ma meno tangibile, sul quadro appeso alle loro spalle. «È stato Dio a guidarci verso l’home-schooling», spiega Cynthia. Suo marito David, 48 anni, per lavoro sigilla i pozzi di petrolio, ma la sua vera vocazione si intuisce dalla folta barba da predicatore. «Ho chiesto a Dio di indicarmi la via, nelle Scritture».

Sono passati 12 anni da quel momento, e i suoi ragazzi hanno ricevuto un’educazione improntata alla fede. Che non significa soltanto sapere tutto del Sermone della Montagna o della Casa di David (la Bibbia si studia prima di colazione, alle 5.45 di mattina).

Ogni materia è impregnata di spiritualità. Storia, scienze, persino il Mago di Oz, che qui accusano di ateismo allo stato puro: «Sissignore», spiega Katee, «sostiene che Dio è finto perché si scopre che il mago non è che un uomo!».

Dio è il loro maestro: nella casa ci sono 50 Bibbie e i ragazzi sanno che imparare è una questione di crescita morale. Quindi, niente Simpsons («troppo maleducati!»), né Harry Potter. Vietato uscire con ragazzi del sesso opposto. «Vogliamo che si corteggino, non che escano con troppe persone», dice David.

Ti pare giusto? Rivolgo la domanda a Thomas, ragazzo dall’aria coscienziosa, con una lunga frangia: «Mi sta bene», risponde, mentre tiene tra le mani la sua chitarra elettrica. Il rock, questo sì, è permesso. Thomas adora la David Crowder Band, e non solo perché è un complesso cristiano.

Negli ultimi anni in Texas il fenomeno dell’home-schooling ha assunto una piega interessante. Nato negli anni Sessanta come movimento clandestino, su iniziativa di un gruppo liberal, oggi è stato adottato dai cristiani evangelici di destra.

Il Texas è uno dei pochi Stati dove l’insegnamento casalingo non è regolamentato, e viene considerato alla stregua delle scuole private. Secondo Tim Lambert, presidente della Coalizione Home-Schooling del Texas, circa il 70 per cento delle persone che nello Stato scelgono di istruire i propri figli a casa è mosso da motivi religiosi.

Stiamo parlando di circa 300mila bambini tra i 3 e i 12 anni, il doppio rispetto a dieci anni fa, che arrivano a 2,4 milioni in tutti gli Stati Uniti. Un fenomeno che cresce del 10 per cento all’anno, nato come risposta a “quello che non va” nella scuola pubblica. Ossia ciò che si insegna ai ragazzi delle medie durante le ore di scienze: l’evoluzione.

«Non vogliamo che ai nostri figli si inculchi l’idea che discendono dalle scimmie», dice Michelle McKissick, 40 anni, di Houston, che istruisce a casa i suoi quattro figli. «È una menzogna», inveisce prima di spiegarmi il punto di vista “corretto”: «Quanto è scritto nella “Genesi” non è una metafora o un racconto. Sono fatti. Il mondo, creato il sesto giorno, ha circa seimila anni e una volta uomini e dinosauri vivevano felici gli uni accanto agli altri».

È lo specchio dell’opinione creazionista dell’universo, condivisa da metà America, che accetta il fatto che Dio abbia creato l’uomo così come lo vediamo. Solo un terzo ritiene che ci siano prove scientifiche a sostegno dell’evoluzione. E la difende in maniera altrettanto veemente.

«Quella metà crede nelle favole!», tuona Steven Schafersman, geologo e presidente di Texas Citizens for Science. «L’evoluzione è la pietra angolare della biologia moderna e della ricerca medica, dallo sviluppo degli antibiotici alla cura del cancro».

Le due fazioni si attaccano attraverso discorsi, conferenze, siti web. Persino a colpi di adesivi sui paraurti, come quello che mostra un grande pesce (Gesù) che ne mangia uno più piccolo (Darwin). Con la battuta: «La selezione naturale».

Questo scontro si trasferisce nelle aule scolastiche, dove – quando arriva il momento di parlarne – alcuni insegnanti di biologia girano intorno all’evoluzione o smorzano le controversie premettendo che «è solo una teoria».

L’idea che i creazionisti siano dei semplicioni è contraddetta dalla famiglia Willhelm. Kevin, 40 anni, è un avvocato con studio ad Abilene; sua moglie, 38 anni, è un’ex insegnante. Dal 2000 fanno lezione ad Austin, 12 anni, Dillon, 8, e Lauren, 3.

Incoraggiati in chiesa, i coniugi Willhelm hanno ubbidito, convinti che fosse l’unico modo per conservare la fede e salvare i propri figli. Da quel momento, nella loro casa dai soffitti alti, con moquette color crema e corna di cervo usate come portacandele, i ragazzi si svegliano alle 7 e si dedicano alle faccende di casa.

Dalle 7.20 alle 8 si esercitano al piano. Poi la colazione. Quattro volte la settimana il padre insegna loro matematica, dalle 8 alle 8.45. Segue mezz’ora di recita a memoria di versetti della Bibbia. Poi ancora studi biblici, storia o lingua. Fino all’ora di pranzo.

Nel pomeriggio si riparte con le lezioni di scrittura e di latino. Alle 16.15 i ragazzi possono finalmente giocare o guardare la televisione (sotto stretto controllo, naturalmente, perché la tv «pende troppo dalla parte liberal»). La cena è servita alle 18.30, seguita dal bagno e dalla lettura della Bibbia. Alle 20.30 si va a letto.

Tutto secondo il metodo cristiano classico, che, a giudicare dall’immacolata credenza e dalla riga perfetta che divide i capelli dei ragazzi, piace a Stacy perché fortifica il carattere. I programmi hanno un taglio cristiano: le mappe geografiche riportano citazioni bibliche e le lezioni di scrittura sono infuse di pia saggezza.

I testi sono forniti dall’Istituto della ricerca sulla creazione (Icr) di San Diego, da quarant’anni fulcro dell’universo creazionista e noto anche per via della crescente fama di un suo ex rappresentante, Ken Ham. Australiano, ex insegnante di biologia, nel 1994 fondò Answers in Genesis, sorella minore dell’Icr. Oggi Ham tiene più di 500 discorsi all’anno.

Ai suoi seminari assistono oltre duemila persone e solitamente lui mostra la foto di uno scimpanzé. «Vostro nonno era così?», chiede. «Nooooo!», rispondono i bambini. «E vostra nonna era così?», e mostra lo stesso scimpanzé con il rossetto. Risatine. «Nooooo!». «Ripetete dopo di me», chiede. «Non siamo semplicemente un animale: siamo fatti a immagine di Dio».

Secondo l’Istituto nazionale di ricerca sull’educazione domestica (Nheri), il 70-75 per cento degli home-schooler lo fa per motivi religiosi. «È il motivo chiave della scelta», spiega Brian Ray, presidente del Nheri. Il fenomeno sta mettendo in allarme gli studiosi.

«Molti genitori sono in buona fede», ammette Steven Schafersman, «ma i loro figli si stanno isolando dalla comunità, dagli altri punti di vista in contrasto con i loro».

Emblematico l’approccio al tema dell’educazione sessuale. Shanna Phillips, 36 anni, ex ragioniera di West Houston, è talmente sconcertata da ciò che viene insegnato nella media vicino a casa, che prima di raccontarmelo chiede alle figlie (di 8 e 6 anni) di uscire dalla stanza.

«Educazione sessuale!», farfuglia, «Di alcune delle cose insegnate… quasi mi imbarazza parlare!». Si interrompe timidamente. «Come usare quelle cose». Contraccettivi? «Sì! La contraccezione viene insegnata in classe!».

«Per un verso hanno ragione», osserva il professor Eve, riferendosi al fatto che «i licei americani sono cambiati. Sono affollati e multietnici; le preghiere stanno scomparendo, e non solo perché negli Usa ci sono più atei che mai, ma perché non si sa a quale Dio ci si debba indirizzare. Sono i tratti tipici della modernità, e non è certo nulla di nuovo che ci sia chi li guarda con terrore».

Un “ipercristianità” che, per alcuni scrittori, ha qualche lato in comune con il fondamentalismo islamico. «Spesso i fondamentalisti iniziano con l’isolarsi dalla cultura di massa, per creare un’oasi di fede pura», scrive Karen Armstrong in Islam: A Short History. «Rivelano profonda disillusione nei confronti della modernità, convinti che l’establishment secolare sia deciso a eliminare la religione».

È così che a più di cento anni dalla sua morte lo scienziato Charles Darwin ha innestato una lotta non solo tra scienza e antiscienza, ma tra l’estrema destra e la cultura mainstream. Tra l’America dell’altro ieri e l’America del futuro.

Ma a molti studenti di biologia della Cinco Ranch High di Katy, vicino a Houston, la controversia continua a causare più che altro perplessità. «Ancora non so perché la gente se la prenda tanto», dice pensieroso uno dei ragazzi. «Lasciamo che le persone credano ciò che vogliono». Per sapere cosa davvero scuote gli studenti, racconta, bisognerebbe assistere alla dissezione del feto di un maiale. «Davvero fantastico!».


Il movimento “antievoluzione” fece la sua prima apparizione nel 1925, durante il processo a un insegnante del Tennessee, John Scopes, multato per aver insegnato l’evoluzione in classe. «Molte persone», spiega Raymond Eve, professore di sociologia alla University of Texas, «si convinsero che la sentenza autorizzasse il creazionismo come materia di studio».

Il cambiamento arrivò sotto la presidenza di Dwight Eisenhower, che, preso dal panico per il lancio nello spazio del primo Sputnik sovietico, nel 1957, incoraggiò lo studio della scienza a scuola per motivi di sicurezza nazionale.

«L’evoluzione sbarcò in classe nell’ambito della Guerra Fredda, della lotta al comunismo», scrive Edward Humes in Monkey Girl: Evolution, Education, Religion and the Battle of America’s Soul. A partire dagli anni Sessanta si iniziò così a insegnare nelle scuole la teoria evoluzionista. Per molti non incompatibile con la fede.

Anche Papa Giovanni Paolo II, nel 1996, dichiarò in un documento che il corpo umano potrebbe non essere un’immediata creazione di Dio, bensì il prodotto di un graduale processo evolutivo.

Ma per i creazionisti la questione è molto semplice: se la Bibbia sbaglia sulla creazione, sbaglia su tutto, e non sarebbe più accettabile come codice morale. La maggior parte della gente non pensa che l’evoluzione sia collegata all’uso delle droghe o all’ascesa di Hitler. Ma i creazionisti sì. Al punto di collegare evoluzione e immoralità, aborto, fornicazione, assassini e adulteri.

L’evoluzione, allora, è la prova di una cultura marcia. «Equivale a pensare», spiega Eve, «che i loro figli possano diventare omosessuali o dedicarsi alla pornografia». La posta in gioco, quindi, non riguarda solo le nostre origini. «Le persone non fanno a pugni per la deriva dei continenti», prosegue Eve. «Oltre al puro dibattito scientifico c’è sotto qualcos’altro».

Quel qualcosa attraversa il cuore dell’America. Il creazionismo, bandito dalle scuole pubbliche nel 1987 per decisione della Corte suprema, ha ripreso vigore grazie al rafforzamento politico della destra religiosa. E all’opinione di George Bush, che ha dichiarato: «Bisognerebbe insegnare entrambi i punti di vista».

mercoledì 15 agosto 2007

LA SACRA FAMIGLIA

L’opposizione della Chiesa e del centro destra ai progetti di legge sul riconoscimento delle unioni civili non è soltanto un gesto autoritario, derivante da una ideologia ispirata a dogmatismi, ma anche un fatto antistorico.

Secondo l’ISTAT i dati delle separazioni e dei divorzi in Italia nel 2005 sono aumentati notevolmente.

Nei 165 Tribunali italiani sono state registrate, in tale anno, 82 mila separazioni e 47 mila divorzi.

In un decennio (1995-2005) le separazioni personali sono aumentate del 57% e i divorzi del 74% con una crescita costante.

Il tasso di separazione è di 272 coppie rispetto ad ogni 1000 sposate e quello di divorzio è di 151 (nel 1995 erano rispettivamente 158 e 80).

Tra separazioni e divorzi si arriva a circa 125 mila rotture familiari all’anno, cioè la metà dei matrimoni celebrati, che in un decennio si sono quasi dimezzati (420 mila rispetto agli attuali 251 mila).

Un terzo dei matrimoni è ora celebrato con rito civile, non più religioso. In definitiva le famiglie di fatto sono quasi 800 mila.

Queste statistiche sono eloquenti per chiunque abbia consapevolezza della realtà sociale e non neghi in malafede l’evidenza in base a pregiudizi e a fondamentalismi.

LIBRI - LIBRI - LIBRI

THOMAS CAHILL, Desiderio delle colline eterne, Fazi Editore, Roma 2003, pagg. 324, € 16,50

Saggista di fama internazionale oltrechè studioso di teologia e di filosofia medievale, il nostro Autore – notissimo anche in Italia a chi ha interessi biblici e teologici – è dotato di una penna “magica”. La lettura di queste pagine è piacevole e coinvolgente. Egli ovviamente compie le sue scelte sempre discutibili, sul piano esegetico, storico ed ermeneutico, ma l’opera è sempre documentata.

Le pagine che più mi hanno interessato per la chiarezza e la “spregiudicatezza” sono quelle che trattano del Vangelo di Giovanni. “Non sappiamo niente dell’autore di questo Vangelo, a parte il poco che si può desumere dal suo testo. La struttura del suo linguaggio, che a volte lo fa apparire un corpo alieno nel corpus del Nuovo Testamento, a volte ha spinto gli studiosi a tesi fantasiose sulla sua composizione. Per esempio, c’è chi ha sostenuto che la complessità filosofica di questo Vangelo ne indichi l’appartenenza alla seconda metà del II secolo. Altri hanno notato che il suo uso accurato di dettagliate informazioni ebraico-palestinesi depone a favore di una collocazione negli anni Quaranta del I secolo. L’ipotesi del II secolo, fondata sul presupposto di una raffinata influenza greca sulla struttura concettuale del Quarto Vangelo, perse terreno quando i rotoli del Mar Morto rivelarono che concetti che una volta si ritenevano derivati da ambienti filosofici greci – come “il Verbo” e le divisioni cosmiche tra luce e tenebre – erano diffusi tra gli esseni del deserto della Giudea anche prima del tempo di Gesù. Un crescente consenso accademico colloca la redazione del Vangelo come adesso lo conosciamo nell’ultimo decennio del I secolo (o, al più tardi, nel primo decennio del II secolo). Gli elementi palestinesi di questo Vangelo, tuttavia, indicano che era in principio un’opera basata sulla testimonianza di un testimone oculare di Gesù, ma rivista ed estesa nel corso del I secolo da mani successive. Ciò che abbiamo ereditato oggi è un pastiche di testimonianze originali e di successive riflessioni teologiche. Le giunzioni del pastiche sono quasi invisibili perché questo vangelo ha ricevuto la sua forma attuale da un redattore abile e raffinato” (pagg. 218-219).

Nel Vangelo di Giovanni Gesù attira continuamente l’attenzione su di sé: a radicale differenza di Marco, Matteo e Luca e traccia evidente di una elaborazione molto lontana dal Gesù storico. I vangeli sinottici non hanno mai fatto di Gesù un “onnisciente” (pag. 225).

“Questi segni della divinità, inseriti senza dubbio da Giovanni l’Anziano” (pag. 225) non riescono a cancellare del tutto le continue prose dell’umanità di Gesù che quasi certamente costituiscono la prima stesura dello stesso Vangelo.

“Nessuno dei credenti che noi abbiamo incontrato finora - negli scritti del Nuovo Testamento – né Marco né Matteo, né Paolo né Luca, nessuno degli apostoli e nessuno dei discepoli che si riunirono attorno a Gesù e poi costituirono la prima Chiesa – riteneva che Gesù fosse Dio. Affermare questo gli sarebbe parsa una bestemmia. Dopotutto, la loro fede in Cristo era una forma di giudaismo; e il giudaismo era l’unico monoteismo al mondo. Dio aveva fatto risorgere l’uomo Gesù e l’aveva reso Signore. Anche se il suo è adesso il Nome con cui siamo salvati, egli non risorse da sé: una simile idea sarebbe stata impensabile” (pag. 217).

Il nostro Autore procede con affermazioni ormai pacificamente acquisite, ma sempre stimolanti e preziose per la loro chiarezza: “In Giovanni le deliziose parabole dei Sinottici non si trovano da nessuna parte, rimpiazzate da nobili ma noiosi discorsi che a volte occupano diverse pagine. L’autore, deciso a non farci dimenticare chi è Gesù, può immergerci in una soffocante solennità che ci spinge a desiderare l’energico e concreto Gesù dei Sinottici. Il Gesù di Giovanni è sempre controllato. In Marco e Matteo Gesù muore in croce tra dolori indicibili, incapace di esprimersi, con “un forte grido”, quasi un urlo straziante. In Luca, avendo perdonato tutti e promesso il paradiso al Buon Ladrone, pronuncia le sue ultime, eleganti parole al Padre, citando il Salmo 31: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Luca è già sul sentiero verso la teologia giovannea del Dio–Messia. Ma in Giovanni, in punto di morte, Gesù conserva il pieno controllo di sé. “Tutto è compiuto!”, dice il Gesù giovanneo. “E chinato il capo”, scrive Giovanni, “rese il suo spirito” – che d’ora in poi appartiene al mondo.

Il Gesù di Giovanni è il Cristo circondato di gravitas degli antichi credi, dell’arte religiosa più dozzinale, delle sacre rappresentazioni tedesche della Passione, dei film hollywoodiani. E’ l’icona immobile amata da ecclesiastici e teologi. E’ come se la riverenza simbolica di Giovanni abbia prodotto un’icona troppo solenne per essere toccata da mani immonde e non consacrate di un uomo qualsiasi – anche se è nel Vangelo di Giovanni che Tommaso il miscredente è invitato da Cristo, crocifisso, trafitto e adesso risorto, a verificare di persona: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato”. Il peso dell’umano e del corporeo, della fatica e dell’imperfezione viene alla fine alleviato in Giovanni dall’imponderabile illuminazione del divino. In questo consiste lo stesso processo di iconizzazione che nei secoli successivi solleverà Maria di Nazaret dalle colline della Galilea e la insedierà tra le costellazioni celesti come theotokos, madre di Dio, nuova incarnazione della Grande Madre dell’Eurasia, in sostituzione della detronizzata Diana degli Efesini.

Come tutte le innovazioni religiose, la teologia di Giovanni fu il prodotto di una cultura e, se la si vuol capire, deve essere considerata la componente di un processo culturale in via di sviluppo. Questa cultura aveva in sé la boria e l’esagerazione retorica ellenistiche o addirittura asiatiche che cominciarono a diffondersi con l’apprezzamento di Alessandro per le cerimonie orientali. I cinici senatori romani, che dichiaravano sempre che questo o quell’altro Cesare erano dèi, non ne prendevano mai i decreti alla lettera, ma ne approvavano le maestose statue di marmo e le insopportabili nuvole d’incenso, i vasi lucenti e gli eleganti fedeli togati, che si chinavano tutti all’unisono: questi erano metodi standard per creare stabilità politica, basati in parte sull’ingenuità popolare. Nei secoli successivi alla presentazione di Giovanni della sua alta cristologia, l’iperbole poetica e liturgica si cristallizzerà a volte in rigidi dogmi, finchè tutto quello che la chiesa possiede – dai sacerdoti consacrati al pane consacrato, dai libri ai contenitori sacri al cero pasquale, lodati in canti stravaganti ed estatici la notte di Pasqua – sembrerà risplendere della luce della sua stessa divinizzazione.

Molti di coloro che sono a proprio agio nella tradizione sinottica, e persino con Paolo, avvertono che qui sulla soglia del Vangelo di Giovanni, devono separarsi dal Nuovo Testamento. Siano credenti o semicredenti, ebrei, umanitaristi o agnostici: potrebbero anche plaudire tutti alle intuizioni e ai progressi di Paolo e degli evangelisti sinottici, ma quando arrivano nella dimensione del bagliore celestiale di Giovanni restano confusi e spaesati. A metterli a disagio non è soltanto la figura esagerata del Dio-Uomo. Perché è in Giovanni che possiamo individuare non solo la fonte certa delle dottrine esaltate del successivo cristianesimo (le quali nemmeno godono dell’approvazione incondizionata di ogni cristiano) ma anche una sensazione di suscettibilità e intransigenza che emergerà più volte, e con risultati sempre più devastanti, in tutto il corso della storia occidentale.

In Giovanni “i giudei” sono nemici, spesso (anche se non sempre) indicati con disprezzo, la gente perduta che non ha “altro re all’infuori di Cesare”. Questo atteggiamento non può essere emerso al tempo di Gesù, quando lui e i suoi seguaci erano ebrei. Né può essere fatto risalire alle polemiche di metà secolo del primo movimento di Gesù, quando tutti i suoi leader – uomini come Giacomo, Pietro e Paolo (che si autodefiniva “ebreo da ebrei”) – erano profondamente consapevoli delle loro radici ebraiche e si consideravano solo predicatori di un giudaismo realizzato. L’antigiudaismo di Giovanni si può piuttosto far risalire agli ultimi decenni del I secolo, quando il braccio di ferro tra rabbini e messianisti si era surriscaldato fino al punto di ebollizione e i messianisti venivano espulsi con la forza dalle sinagoghe eurasiatiche e ufficialmente maledetti nelle liturgie ebraiche. Il senso di perdita che derivò da questo esecrabile ostracismo non andrebbe minimizzato, anche se non possiamo non esserne consapevoli, perché pulsa ancora nei sentimenti feriti del Quarto Vangelo, introdotti nel racconto della vita di Gesù da una comunità mista di ebrei e gentili degli anni Novanta, probabilmente sfuggiti all’esodo dalla Palestina a Efeso ma che ancora avvertivano le ferite della loro dipartita finale” (pagg. 228 - 229).

Ripercorrendo i primi cento anni di cristianesimo – dalla nascita di Gesù nel regno di Cesare Augusto alla redazione finale del Vangelo di Giovanni (e dell’ultima delle lettere del Nuovo Testamento) intorno all’anno 100 – ci imbattiamo in quello che sembra uno sviluppo in straordinaria, rapida successione. Gesù il profeta ebraico che accettò il giudizio di altri di essere il loro Messia (e può anche darsi che avesse promosso questa identificazione), fu giustiziato dai romani in un modo così orribile che i suoi seguaci non poterono mai dimenticarlo. La loro successiva affermazione che è “risorto” non cadde su orecchie sorde, ma convinse molti; e la loro piccola setta palestinese si trasformò in un movimento che, come semi sparsi al vento, si diffuse in tutto il mondo romano, mettendo radici soprattutto nei centri urbani che avevano una rilevante presenza ebraica.

La religione di questi aderenti che finirono per essere chiamati “cristiani” apparve all’inizio come una forma un po’ anomala di giudaismo, ma gradualmente si allontanò dai cardini dell’ortodossia giudaica, non tanto per le sue preoccupazioni etiche, che rimasero incentrate sui valori tipicamente ebraici della giustizia, della misericordia, della carità e della fratellanza, quanto per la sua teologia innovativa, che fece di Gesù non solo il Messia ma anche il Signore dell’Universo che siede alla destra del Padre. Più i cristiani si spinsero a deificare Gesù, più tesero a ripudiare gli ebrei dai quali avevano avuto origine. Più i cristiani meditavano sugli eventi della vita di Gesù e sulle loro successive esperienze della sua “risurrezione”, più egli sembrò innalzarsi nei cieli, finchè iniziarono ad acclamarlo non solo come “Salvatore del Mondo” ma come “Figlio Unigenito di Dio” le cui sofferenze ci avevano redento dal peccato e la cui risurrezione sosteneva la speranza della nostra” (pag. 236).

Siamo ormai mille miglia lontani dal Gesù storico e sta per nascere una nuova religione: “La chiesa del Discepolo Amato si era trasformata in una specie di isola che i cambiamenti geologici hanno distaccato dal continente. Per molti anni ebbe uno sviluppo separato: dagli ebrei, dagli “eretici”, persino dagli altri cristiani “ortodossi” “(pag. 231).

Fu con il secondo secolo che la comunità giovannea cominciò a trovare spazio e la sua cristologia alta cominciò a “sedurre” e la sua “peculiare letteratura” cominciò a trovare posto nella “biblioteca” delle origini cristiane.

E così si getta il ponte verso un cristianesimo dogmatico: “Se Dio può così farsi carne, Gesù deve essere l’auto-rivelazione di Dio e, dunque, di Dio in una forma molto più integrale ed essenziale di qualsiasi profeta precedente (e semplicemente umano). E’ quest’ultimo pensiero che costituisce il ponte tra le prime teologie e le grandi affermazioni cristologiche del II secolo; più di ogni altro documento del Nuovo Testamento è il Vangelo di Giovanni a darci un’immagine di questo ponte mentre viene edificato, quasi un’istantanea di questa nuova teologia durante il processo di costruzione. Alla fine del II secolo Ignazio di Antiochia, uno dei primi grandi vescovi, parlerà senza ambiguità del nostro Dio, Gesù Cristo” (pag. 220).

Chi è avvertito di questi “passaggi” storici può leggere con gioia questo Vangelo che “riesce ancora a incendiare di rabbia i lettori ebrei e a sconcertare i cristiani” (pag. 230). Senza queste avvertenze si può correre il rischio di confondere Gesù con Dio. Certo, oggi, moltissimi studi esegetici ed ermeneutici hanno fatto luce su questi "spostamenti", ma non è chiaro per tutti che “figlio di Dio” “è un’espressione ricorrente nella prima letteratura biblica in riferimento a chiunque potesse essere considerato portavoce di Dio” (pag. 215), “uno che pronunciava il messaggio di Dio” (pag. 216).

Così ridiventa pacifico che, in riferimento alle nostre origini, si può sottoscrivere che “anche il cristianesimo è una forma di giudaismo” (rabbino Shaye Cohen).

Intanto sarà bene ricordarsi che bisogna parlare storicamente di “cristianesimi” (il plurale è d’obbligo) e che, anche con l’ultima redazione del Vangelo di Giovanni, non siamo ancora arrivati alle formulazioni dogmatiche di Nicea e Calcedonia.

Spero che le citazioni qui riportate rappresentino un invito alla lettura del volume e anche una sollecitazione a leggere il Vangelo di Giovanni con rinnovato impegno e con maggiore consapevolezza dei problemi che il testo solleva.